Nel tragitto tra Roma e Bisanzio si salpava da Egnatia per il mondo. A Egnazia il mondo è tornato e la Puglia – parola di Michele Masneri – si è lanciata (se ce ne fosse ancora bisogno) nel mondo.
Ma al New York Times prima e a Francesco Merlo e Concita De Gregorio su Repubblica, dopo, tutto questo non è piaciuto, perché il mondo, organizzato nel G7, ha preso alloggio in un borgo costruito ai confini dell’antica necropoli. Borgo Egnatia, appunto.
È nuovo di zecca e privo di caratteri identitari, sono le accuse. Non è la vera Italia e la vera Puglia, è la sentenza. E qui basterebbe Karl Kraus a fare da Cassazione: “Devo comunicare agli esteti qualcosa di rovinoso: un tempo la vecchia Vienna era nuova”.
Nulla è mai vecchio prima di essere stato nuovo. E non c’è cosa della “vera” Italia o Puglia di ieri, che non sia stata considerata “falsa” avant’ieri.
È così logico che scatta un sospetto. Sarà stato un pregiudizio a ispirare il NYT, Merlo e Di Gregorio? Sarà qualche problema con la libertà di espressione del pensiero, anche architettonico, il cui successo non è sancito dagli “esteti” ma dal mercato? Sarà come sarà, fatto sta che Borgo Egnazia nasce come cosa nuova per arricchire le cose vecchie. “Vetera novis augere et perficere”, avrebbe potuto dire, se glielo avessero chiesto, Papa Francesco rievocando il suo predecessore Leone XIII.
E questa cosa nuova, udite udite, fu autorizzata da una giunta comunale fasanese di centrosinistra. Sì, di centrosinistra. Non è un errore di battitura. È il centrosinistra per come dovrebbe essere.
Ecco la storia in formato breve.
All’inizio degli anni ’70 a Fasano c’era ben poco nel turismo e un banchiere locale, Pierino Bianco, promosse la società Itala. Più che una società, un antesignano fondo d’investimento: furono raccolti i risparmi di circa 170 fasanesi e baresi benintenzionati, perlopiù, per acquistare terreni, costruire alberghi, istigare alla spesa e al consumo chi ha molti soldi da spendere, così da dare lavoro a chi non ha un piatto da mettere a tavola. In pratica, il maglioncino color ceruleo de “Il diavolo veste Prada”.
La storia della società Itala comincia con l’Hotel Sierra Silvana alla Selva di Fasano e l’Hotel del Levante a Torre Canne. Questi due alberghi, con l’Hotel Terme di Torre Canne compendiavano l’offerta turistica più grande sino ai primi anni 2000.
Ma teniamoci ancora indietro.
La società Itala, oggi proprietaria di altri due eccellenti resort – Torre Coccaro e Torre Maizza (gestita dal gruppo Forte) – cedette alcuni terreni di Savelletri, più o meno contigui, a Sergio Melpignano, fiero e ingegnoso fasanese ma trapiantato a Roma, che sino a quel momento spartiva con il turismo il solo ruolo di grande turista e viaggiatore, però impegnato un po’ per gioco nel trasformare una vecchia masseria (acquistata con il fratello Stefano per le vacanze familiari) in un albergo di alta qualità: San Domenico.
Su quei terreni Melpignano costruirà Borgo Egnazia, il campo da golf San Domenico e – cosa rarissima anche nelle opere dei più sfrenati sostenitori dei beni comuni quando vanno al potere – un grande prato sul mare a rigoroso uso pubblico e gratuito.
Prima di allora su quei terreni non c’era mai stato nulla, nemmeno vegetazione, probabilmente svellata per organizzare un piccolo aeroporto militare durante il secondo conflitto mondiale.
E qui una digressione.
Sino a 25 anni fa, Fasano e il suo territorio (ma anche gran parte della Puglia) offrivano il paesaggio incantevole alle più imponenti scorribande per mettere a riparo i carichi di sigarette di contrabbando. Una città con ampie fasce di popolazione “operanti” nelle Marlboro e la costa adibita all’attracco di natanti o, in alternativa, come luogo di sosta per coppie automunite alla ricerca di privacy.
Qualche anno prima dell’operazione “Primavera”, organizzata dal ministro Enzo Bianco, di padre fasanese, sfrecciavano infatti i blindati di “bionde”, mietendo anche vittime, e la regione si definiva turistica solo perché a luglio e ad agosto si chiudeva per ferie, correndo a indossare gli abiti delle vacanze: via pantaloni lunghi e mocassini, dentro bermuda, infradito, mexico o zoccoli Dr. Scholl’s, anche nelle memorabili versioni imitazione. I turisti, in pratica, erano gli stessi pugliesi cambiati d’abito.
In questo quadro, tratteggiato a digressione, Sergio Melpignano presentava al Comune la pratica Borgo Egnazia, in un pacchetto di pratiche riguardanti altre 31 proposte di altri imprenditori; edilizia in variante al Piano regolatore, perché raramente negli atti di pianificazione si trova un programma che non finisca in sociologia o “idolatria”, e interpretando una vena visionaria all’epoca difficile da capire.
Il Consiglio comunale, nella seduta del 10 agosto 2000, nel giro di poche ore e all’unanimità, approvava le 32 pratiche di variante al PRG, innescando ciò che poi sarà eseguito dalle amministrazioni successive di tutti i colori politici.
Quella sera, il 10 agosto 2000, in quel Consiglio comunale dominava la paura o forse il terrore. “Sono certo che scendendo di qui troveremo la camionetta ad aspettarci”, disse un vecchio Consigliere comunale, anche per sedare l’entusiasmo anche un po’ irresponsabile dell’assessore proponente (chi scrive) e pensando a fatti di pochissimi anni prima; a quell’alba d’inizio estate del 1993, quando su richiesta della Procura di Brindisi erano state ingiustamente arrestate e destinate al carcere cinque persone, tra politici e tecnici, per un cambio di destinazione a uso turistico, rigorosamente senza opere, di una masseria (Boccone del Cardinale); portati in carcere per aver fatto ciò che oggi è sancito per legge, auspicato e abbondantemente incentivato con finanziamenti pubblici, per convincere il mondo a scegliere Puglia.
Il Borgo Egnazia approvato dal Consiglio comunale, progettato dagli studi Lupoi di Roma e De Leonardis di Fasano, sotto la consulenza di Pino Brescia, prodigioso artista all’epoca sconosciuto, era molto più grande di quello poi realizzato, ridimensionato per ottemperare a numerose limitazioni e prescrizioni delle Soprintendenze paesaggistiche e archeologiche, e delle varie autorità ambientali.
È tutto nuovo Borgo Egnazia? Si, è tutto nuovo. Cosa c’era prima in quel luogo? Nulla. E se fosse rimasto nulla, probabilmente, il mondo non sarebbe mai tornato a Egnazia, perché le cose vecchie, se anche ben ristrutturate, non avrebbero potuto contenerlo.
Con Borgo Egnazia, ma non solo, le amministrazioni pubbliche scelsero di far fare una cosa fortemente realista, con il suo vecchio e il suo nuovo, riformista e perciò fortemente identitaria.
Sia comunicata questa notizia “rovinosa” a tutti gli esteti: la nuova Puglia, la nuova Fasano e il nuovo Borgo Egnazia un giorno diventeranno vecchi e faranno la “vera” Italia, la “vera” Puglia e piaceranno al NYT, a Merlo e alla De Gregorio che verranno.
Fabiano Amati.