Replica del Consigliere regionale Fabiano Amati alla vicepresidente Angela Barbanente in merito all’articolo sulla depurazione, pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno.
“Non risponderò ai soli sfottò, inidonei alla comunicazione istituzionale.
Le dichiarazioni dell’assessore Barbanente, sulla questione della depurazione, non tengono conto del fatto che il Consiglio regionale ha approvato un Piano di tutela delle acque, al quale il Governo regionale e i pugliesi devono attenersi: almeno in uno stato di diritto e in base al principio di legalità, che non è valido solo quando ci si occupa di Berlusconi.
Se quel Piano di tutela delle acque e le sue regole non vanno bene, compresa l’individuazione dei recapiti finali (scarico) e degli abitanti equivalenti (regola usata per soddisfare le portate variabili in base al fenomeno turistico), spetterà al Governo regionale proporre una modifica, più che chiacchierare a mezzo stampa o ritenere ‘non ammissibili’ – come fa l’assessore Barbanente – le politiche di pianificazione della Puglia, comprendendo ovviamente gli otto anni di governo del Presidente Vendola, che sul punto ha invece fatto notevoli sforzi (riuscendoci) per rimettere in piedi il settore della tutela delle acque.
Ad onor del vero, anche il governo precedente a quello di Vendola, (governo Fitto) sullo stesso punto impostò politiche di serio risanamento, i cui frutti sono stati raccolti dalla Puglia e politicamente dallo stesso Vendola. La storia non conosce cesure.
Se la logica da perseguire è il riuso, pratica buona e giusta, al Governo regionale spetterà mettere a disposizione le risorse sulla realizzazione delle reti irrigue, per esempio, e la formazione dei comprensori irrigui.
Non basta aggiungere il modulo di affinamento ai depuratori, poi c’è bisogno che qualcuno utilizzi quell’acqua. Ciò naturalmente non potrà mai significare l’eliminazione del recapito finale, che per motivi di ingegneria idraulica (qui la questione si fa un po’ più complicata) deve sempre essere previsto, scegliendo tra le ipotesi consentite dalla legge e senza fantasiose alternative che possano servire, mi ripeto, solo a lisciare il pelo a chi contesta.
I cittadini non hanno bisogno di governanti che fintamente li assecondino.
Le cose che dico e scrivo sull’argomento, tuttavia, non sono “farina del mio sacco”. Mi limito, con umiltà e come sempre dovrebbe accadere su argomenti ad alta specializzazione tecnica, a leggere il ‘gobbo’ scritto da decine di scienziati che collaborano con la Regione, con l’Autorità Idrica Pugliese e con l’Acquedotto pugliese; fior da fiore delle migliori esperienze cresciute negli accorsati dipartimenti di idraulica del Politecnico di Bari e dell’IRSA CNR.
Se per caso dovessi scrivere e dire sciocchezze me ne scuso, si sappia però che non è con me che bisogna prendersela ma con decine di valorosi scienziati.
Da queste autorità scientifiche ho imparato, per esempio, due cose:
a) che il lagunaggio e la fitodepurazione (depurare con le piante), lungi dal rappresentare un’alternativa al recapito finale, funzionano per agglomerati molto piccoli (con pochi abitanti equivalenti). Il Piano di tutela delle acque pianificò grandi agglomerati per evitare la triplicazione (almeno) dei recapiti finali, con tutti i problemi di ‘conflitto’ con i territori. Se invece il Governo regionale volesse aggiungere al servizio idrico integrato l’ulteriore trattamento della fitodepurazione, comunico che è sufficiente reperire le risorse, nell’ambito delle politiche sui parchi (qual è l’assessore che ha la delega?) e realizzare le opere. Naturalmente, la fitodepurazione ha bisogno di spazi e vasche in cui realizzarle, per cui ho la netta sensazione che ci si scontrerebbe con notevoli problemi di valutazione d’impatto paesaggistico. Della serie, quando il paesaggio e l’ambiente non sono la stessa cosa e si presentano addirittura in conflitto.
b) lo scarico in falda (o nei pozzi anidri) delle acque affinate, è ad oggi vietato dalla legge. Per questo il Piano di tutela delle acque non lo prevede e le opere sono state programmate tenendo conto di questo divieto. Qualora il Parlamento nazionale dovesse concederci la deroga, bisognerà modificare le previsioni del Piano di tutela delle acque e adattare le opere previste alla nuova previsione legislativa. Si tratterebbe, in pratica, di dotare tutti gli impianti del modulo di affinamento e eliminare le opere di collettamento tra il rilascio dei depuratori e il recapito finale.
Queste cose le ho apprese dagli accademici di ingegneria idraulica, aiutati dagli idrogeologi che individuano in questa pratica una possibilità di ricarica della falda stressata e salinizzata, così come fanno in altri paesi del mondo (non sono solo i norvegesi a proporre buone pratiche).
Infine: approccio integrato, ascolto reciproco, coinvolgimento, condivisione ecc., sono belle parole e nessuno può contestarle; a condizione che non servano per mettere in bella copia l’inerzia, attendendo che passi la nottata.
A mio parere c’è sempre il momento della decisione responsabile e ferma, dopo l’ascolto e il coinvolgimento. Bene, quando arriverà quel momento? Siamo a conoscenza che sulle nostre spalle gravano diversi procedimenti d’infrazione per inadempimento?
A tutti viene facile usare parole afone per non indispettire l’uditorio. Fatto sta che quest’attività linguistica non si addice alla cosa pubblica, ma alla buona creanza delle ospitate tra amici”.