Nella lotta al cancro c’è la prima politica di parità tra uomini e donne. Non solo dunque le più gettonate questioni attorno alla parità nell’accesso al potere e al lavoro. A sancire le differenze tra i sessi c’è anche la distrazione sui tumori di genere. Quelli che colpiscono solo o soprattutto le donne. Una terribile ingiustizia.
Una violenza di natura in grado di trasformare organi di impareggiabile grazia femminile in tane per cellule maligne. E in molti casi pure per tragica familiarità; non dunque eredità per un futuro opulento ma mutazioni genetiche da tramandare per tenere in famiglia la catena del dolore. Un arruolamento obbligatorio nell’esercito dei soldati tragici, forse per vincere la guerra dell’evoluzione.
Fermiamoci a pensare su tutto questo. C’è sempre la figlia, la mamma, la sorella o la moglie di qualcuno di noi, cadute perché non c’era nulla da fare oppure per superficiale ritardo nella prevenzione. Siamo tutti orfani di una malata di cancro. E nelle ore più meste, quelle che tornano sempre nel cuore degli orfani, il pensiero si fa più cupo anche per rimpianto o rimorso, per quello che si sarebbe potuto avere e non si ebbe o per ciò che si sarebbe potuto fare e non si fece.
Nella morte per cancro c’è uno squilibrio di genere. C’è, nella sconvolgente aggressività, una sproporzione per tumori al seno e all’apparato genitale.
Eppure abbiamo acquisito strumenti rivolti a maggiore uguaglianza. Il problema è che li usiamo poco e male. Sono strumenti noti. Tutti scritti nella bella copia delle leggi e dei programmi di prevenzione.
Nel caso del carcinoma mammario, con le sue connessioni di storia clinica a quello dell’ovaio, i programmi di prevenzione li abbiamo chiamati screening.
Un benintenzionato monitoraggio su una popolazione femminile tra i 45 e 74 anni, invitata alla mammografia di sorveglianza ogni uno o due anni. Ma si fa? È proprio vero che si chiamano tutte? No. La realtà non risulta accordata con i piani di prevenzione e gli atti delle aziende sanitarie.
Ogni giorno in cui si svolge un convegno sul potere negato alle donne, ci sono donne che non risultano chiamate allo screening. E mentre quelle più informate e socialmente attive rimediano con l’esame a pagamento, quelle affannate nei disagi concreti della vita perdono l’attimo e il male entra in loro. Silenzioso. Sino a quando il primo sintomo e la prima diagnosi smaschererà il dramma e il tempo perso.
Di recente il Consiglio regionale della Puglia ha approvato una legge con cui si è stabilita la decadenza dei direttori generali delle Asl qualora non siano invitate allo screening tutte le donne. Tutte. E non meno della metà, come avviene sinora. Una decisione tanto ovvia quanto difficile da prendere. Si è trattato di un provvedimento concretamente rivolto alla parità di genere. Una condizione d’uguaglianza che si stenta a raggiungere anche per inospitalità alle innovazioni della ricerca.
È il caso dei test genetici per sapere con debito anticipo se in qualche antro recondito, invisibile, sta acquattato in persona sana un gene mutato pronto alla “guerra”. Anche su questo ha provveduto da poco il Consiglio regionale, stabilendo la gratuità dei test e dei successivi programmi di sorveglianza.
Ora viene la parte più difficile: l’esecuzione delle nuove disposizioni.
Si teme una reazione stentata, titubanze, preoccupazioni e problematicità, nonostante l’alta posta in gioco. Ma “se non ora, quando?” Verrebbe da dire.
Ora è il tempo della mobilitazione senza timidezze. Ora c’è la necessità di chiamare tutte le donne da 50 a 74 anni allo screening; di valutare l’ammissione allo screening delle donne da 45 a 49 anni; di attivare la consulenza genetica oncologica e la gratuità dei test BRCA1, BRCA2 e degli eventuali programmi di sorveglianza clinico-strumentale.
Un colpo di reni per la parità tra i generi. Un nuovo approccio non condizionato dalle difficoltà organizzative, che pure ci sono, e che sinora ha suggerito di desistere prima ancora di provarci.
Gli ingranaggi organizzativi devono essere adattati al dolore della condizione umana e non il contrario. La condizione di stress nel fornire risposte difficili e con tempi ristretti, finisce sempre per rispondere alle domande di salute delle persone e contemporaneamente ridurre i problemi organizzativi.
“Se non ora quando?” Ora che abbiamo acceso con potenza l’attenzione sull’argomento emerge la responsabilità; una caratteristica umana in grado di essere presa sul serio se risulta chiaro cosa succeda nel caso non si abbia intenzione d’assumerla.
Se non ora quando? Ora.
Articolo pubblicato l’8 aprile 2022, su Corriere del Mezzogiorno Puglia