“Finalmente in Puglia l’argomento della depurazione, e dei suoi problemi, è diventato oggetto di riflessione comune e dibattito. È insomma passato dalla condizione impropria di questione settoriale e marginale, assegnata alle cure di pochi amministratori e dirigenti regionali, al rango più veritiero di una questione prioritaria di salute su cui investire impegno e risorse. Da questo momento immagino che non ci sarà più un’elite ignorata ad occuparsene, sia pur con parziali successi, così come negli ultimi anni è accaduto, ma l’intero sistema di governo della Regione. Purché se ne parli in concreto e con profondità.”
Lo dichiara il Consigliere regionale Fabiano Amati.
“Negli ultimi anni – dice – il sistema di depurazione pugliese ha assunto dimensioni ciclopiche (quasi 200 depuratori), senza pari in altri contesti geografici. La percentuale più alta degli impianti funziona, o è stata posta in funzionalità negli ultimi anni, con il notevole impegno e sacrificio di decine di ottimi tecnici regionali e altrettanto nutrito contingente di straordinari dipendenti di AQP. Il tutto controllato, guidato e assistito dall’altissima qualità amministrativa e scientifica (ognuno per quanto sa e può) dell’Autorità di Bacino, ARPA, AIP, IRSA-CNR e dipartimenti universitari vari.
Numerosi casi costantemente ignorati negli scorsi lustri sono stati risolti, mentre altri, per fortuna meno numerosi, risultano irrisolti per una pluralità di cause, da me sempre denunciate al grande pubblico e senza false cerimonie, riconducibili alle ostilità dei territori rispetto all’argomento del recapito finale.
Un passato amministrativo connotato da debolezza politica, disinteresse o impreparazione nello spiegare in nome della scienza e del buon senso, magari accettando coraggiosamente le conseguenze di una decisione contestata (è ciò che gli amministratori dovrebbero regolarmente fare), è ciò che oggi ci fa gridare ai rischi conseguenti alla insalubrità (suolo invaso dalla cacca) di alcune parti del territorio pugliese e ai conseguenti procedimenti d’infrazione. Su questo ci sono pagine di denuncie delle associazioni ambientaliste (penso a Legambiente tra le altre) o dei mezzi d’informazione.
In altre parole: una politica debole consente che un giorno si leggano le proteste sul recapito finale e il giorno successivo l’indignazione per una salubrità che non arriva e che determina sanzioni dell’Unione Europea. Ma le due cose non possono stare assieme, mi piace far presente, dato il contesto geomorfologico pugliese e normativo.
Però, può anche capitare di peggio. Sentire autorevoli parole pedagogiche, tipo ‘l’argomento non si affronta con piglio autoritario e tecnocratico’, è un aiuto alla retorica strappa applausi, non in grado purtroppo di esorcizzare il problema dell’insalubrità e violando nei fatti il Piano di Tutela delle Acque (approvato dal Consiglio regionale) che prescrive puntualmente il da farsi. Nessuno può inventarsi cose diverse da quanto è scritto su quel piano: chi pensasse ad altre soluzioni non ha che da proporre una modifica al Piano di Tutela delle Acque. Sino a quando nessuno, invece, proporrà variazioni allo stesso Piano, tutti sono obbligati a rispettarlo e a non violarlo, nemmeno con parole retoriche e soprattutto se provengono da un pulpito istituzionale.
Tutto questo naturalmente, non esclude l’esistenza di problemi, su cui spero che avremo l’opportunità di parlare nei prossimi giorni.
Le criticità dei depuratori pugliesi sono in larga parte tre, costantemente denunciati e mitigati, purtroppo tra il disinteresse.
1) Scarichi abusivi nella rete fognaria (cioè scarico di acque che non c’entrano nulla con le deiezioni umane), che è attività diffusa e scarsamente perseguita, nonostante le leggi assegnino competenze e poteri specifici;
2) Inesistenza generalizzata di una rete delle acque meteoriche (che fa entrare nei depuratori l’acqua piovana, causando sovra portata e quindi funzionamento irregolare), la cui costruzione non diviene mai priorità finanziaria delle amministrazioni locali o dei programmi comunitari;
3) Gestione dei fanghi (cioè di tutto il materiale organico che viene estratto dai liquami per esercitare la depurazione), la cui imponente problematica sembra interessare solo qualche tecnocrate e amministratore di buona volontà e che invece dovrebbe essere affrontata con piglio moderno (improntato al principio che in natura nulla deve andare buttato via), applicando l’abbondante prodotto della ricerca scientifica degli ultimi anni.
La parte imponente del problema è incentrata su queste questioni, la cui soluzione si materializza in un programma di governo che riguardi il complesso dell’amministrazione regionale, piuttosto che di un singolo settore; se questo problema è una priorità, prioritaria deve essere l’assegnazione di risorse.
Nonostante tutto ciò, rimarrebbe aperta la questione dei contrasti sui recapiti finale (“no scarico a mare”), che negli ultimi anni ha dilettato, senza generare proposte alternative, filosofi, letterati, musicisti, cantanti e gruppi di popolazione istigati contro gli amministratori pubblici che avevano e hanno solo l’obbligo di rispettare le leggi e il Piano di Tutela delle Acque.
Sull’argomento la soluzione sarebbe semplice, come ripeto a cantilena da quattro anni, se solo il Parlamento nazionale concedesse una deroga per lo scarico in falda, allo stato vietato.
Con la possibilità consentita di scaricare in falda, si dovrebbe solo aggiungere il modulo di affinamento per il riuso (costa molto meno di qualsiasi condotta sottomarina o altre probabili o improbabili proposte che generalmente si ascoltano), affinché sia garantita la qualità dell’acqua in grado di essere sversata nella falda, qualora non sia richiesta per altri usi. Finirebbe così lo scarico in mare, incentivando un sistema di controlli sulla qualità del refluo depurato, che è la vera questione su cui ci si dovrebbe impegnare e su cui, ancora una volta e con altri colleghi consiglieri, ho posto l’attenzione con una richiesta di riflessione in Commissione. Ma sull’argomento della qualità del refluo concorrono, ovviamente, le soluzioni sui tre argomenti problematici già trattati: scarichi abusivi, acque meteoriche e gestione dei fanghi. Ne deriva, come sempre, che tutto si riconnette, inesorabilmente, facendo osservare con un certo stupore che la politica compie guai quando espelle dalla sua decisione la scienza e la tecnica, e non dibatte con animo sgombero da pregiudizio e dalle seduzioni di ridurre anche gli argomenti superiori al grado della lotta politica.”