di Fabiano Amati
Le infrastrutture energetiche moderne non sono un sacrificio ma una chance. Un’opportunità. Servono ad appropriarsi di maggiori ricchezze soddisfacendo i bisogni di tutti. Ma queste chance, ovviamente, bisogna sapersele prendere quando e il tempo e non perderle com’è accaduto per Tap. E invece stiamo rischiando la stessa storia del gasdotto. Si chiamò sacrificio ciò che non era, modificando pure il vocabolario. Non sarebbe stata una rinuncia per il bene altrui, ma un’ospitalità per il comodo proprio. E invece si disse “no” e non si capi che era un “no” a noi stessi.
Ma poi per fortuna di fece e oggi limita, senza alcun danno ambientale, il già grande salasso in bolletta. Anche questa volta rischiamo di trovarci dinanzi a tanti “no” politici, conditi con parole d’infondato spavento, per decisioni che speriamo arrivino nonostante noi, regalandoci un ruolo da protagonisti nella sicurezza ambientale, nella prosperità e nella pace, ma senza purtroppo poter godere di alcun tipo di compenso. Per il solito ritardo nell’assumere decisioni. Per un’incontrollata dissipazione di parole, dicendo tutto per non dire niente, lisciando il pelo – di fatto – a chi usa questi argomenti per riportare a galla una coalizione conservatrice d’idee rosso-brune (destra-sinistra), adagiata sui vecchi arnesi della lotta di classe o della nobiltà del suolo e del sangue (Chico Mendes e Walter Darrè), per cui l’ecologia priva delle cianfrusaglie ideologiche è giardinaggio. Il dibattito sulle rinnovabili e sul gas è surreale.
Se si esprime favore per le rinnovabili, ed io lo faccio da anni, si sente un “no” per difendere il paesaggio e la proposta alternativa di piazzare pannelli solo sui tetti. E che per carità non siano inclinati e all’inseguimento del sole, ovviamente. Se si fa osservare che tutti i tetti d’Italia e le aree di bonifica non appagherebbero l’obiettivo di capacità di 76GW entro il 2026, si sente un “no” auspicando l’alternativa dell’idrogeno. Se si fa osservare che solo avviare il programma idrogeno serve una capacità ulteriore di 40GW di rinnovabili rispetto ai 76GW, si sente un “no” con l’alternativa dell’eolico offshore. Se si propongono parchi di eolico offshore, si sente – ancora una volta – un ‘ no” con l’alternativa dei tetti, perché come nel gioco dell’oca si torna sempre al punto di partenza, nella speranza che gli interlocutori si siano dimenticati della prima obiezione. Detto per inciso: mentre tutto ciò accade c’è sempre qualcuno che parlando di Ilva chiede la riconversione a idrogeno, probabilmente non sapendo che quel programma ha bisogno i ulteriori 40GW di rinnovabili. Ossia, altro eolico, altro fotovoltaico e altre biomasse.
E poi il gas. Qui il surreale assume sembianze patafisiche: la scienza delle soluzioni immaginarie. Il “no” al gas viene scritto su qualche post o si detta per qualche giornale stando al caldo o al fresco della propria casa, oppure dopo aver consumato un ricco pasto, preparato con vecchie cucine a gas o con le nuove a induzione, guardando la sempre-accesa tv e contemporaneamente assordati dal rumore della lavatrice, del phone, della lavastoviglie, dell’aspirapolvere e benedicendo – perbacco – il nuovo frigorifero per i giorni feriali e quello a pozzetto per le grandi occasioni, che assieme ai due computer di casa sempre accessi fanno bella mostra dei nostri grandi progressi domestici nella società sempre più elettrica e perciò sempre più top. E pure le prese del garage non se la passano meglio: macchina, bici e monopattini, per un mondo green.
E siccome si contestano anche le banche centrali, perché poi sta proprio sul cavolo l’imperialismo, si fa affidamento sulle criptovalute, puntando sulla blockchain per farle funzionare. Blockchain? Cos’è questa creatura? Si tratta di milioni di computer sempre accesi manovrati da milioni di “minatori”, messi in rete per estrarre” la nuova moneta. Ma dietro tutte queste prese elettriche occupate cosa c’è? Da dove arriva tutta questa elettricità? Domanda scabrosa e priva di pudore. Da non farsi. Dopo aver sdoganato tutto, compreso il sesso, ili ultimi due tabù rimasti sono la cacca (ci sono anche i “No” ai depuratori) e da dove prendiamo l’energia che ci serve per le comodità a cui non intendiamo rinunciare.
E allora. Se si propone un serbatoio costiero di gas naturale liquefatto, si sente dire che non è quello il luogo senza però sapere quale sarebbe il luogo più giusto. Se si avanza con il raddoppio del gasdotto Tap, si invoca l’alternativa del Poseidon. Se si decide per Poseidon, si sente un “no” perché abbiamo già dato. Se si propone un rigassificatore a terra, si sente l’alternativa offshore. Se si accetta l’offshore, si sente dire che il gas è comunque una fonte fossile. E a questo punto che si fa? Ci si chiede. La risposta è: le rinnovabili. E si riparte con il gioco dell’oca. Si torna alla casella di partenza. Ascoltare queste cose è il vero sacrificio privo di compensazioni.
Una rinuncia masochista alla sanità della mente propria per non intralciare le farneticazioni coltivate nella mente altrui. Siamo costretti a fronteggiare un “no” politico a decine di investimenti utilissimi. Un paniere di programmi da ottenere battendo la concorrenza delle altre regioni, utilizzando la maggiore compatibilità geografica della Puglia. La regione Porta del Mediterraneo, come si dice spesso. Ma metafora di quale porta è una regione condizionata dai “No” che lavorano per murare quella porta? Le rinnovabili e il gas, nella loro combinazione, l’uno a integrazione dell’altro, sono un programma energetico di modernità, per tenere acceso il palinsesto delle nostre case e di tutte le fabbriche impegnate, con milioni di posti di lavoro, ad offrirci i prodotti irrinunciabili della nostra società elettrica. Le rinnovabili e il gas, nel loro sodalizio, sono metodiche di produzione energetica con grandissima sicurezza ambientale. Finalmente. Per anni abbiamo “svenduto” il nostro territorio alla produzione di energia con metodiche inquinanti e ne abbiamo avuto un peso inquinante ben maggiore del vantaggio.
Ora abbiamo invece l’opportunità di candidarci ad avere qualcosa con posta contabile solo attiva, perché mai dovremmo dire “No” e cosa facendo favorire il mondo a petrolio e carbone? Le rinnovabili e il gas sono il più prossimo futuro e la transizione dal presente a ciò che verra, al tempo magari in cui riusciremo a mettere in una bottiglia il sole: la fusione nucleare. E per evitare che a quel tempo saremo tutti morti, magari per il sogno imperialista degli ultimi dittatori entrati in guerra perla prepotenza di essere «una pompa di benzina mascherata da paese», così come definì la Russia John McCain, forse facciamo in tempo a dire che rinnovabili e gas servono pure alla pace. A ridurre cioè la dipendenza da tutti i Putin seduti sulle poltrone di comando degli ultimi stati totalitari, contro i quali non riusciamo a irrogare le sanzioni economiche più totali proprio per la dipendenza energetica, costringendoci all’invio di bombe, droni e aerei.
Chi non vuole le rinnovabili e le infrastrutture per il gas vuole il petrolio, il carbone, l’inquinamento, l’esposizione alle malattie, lo spegnimento elettivo delle nostre case, la chiusura delle fabbriche, la povertà, le disuguaglianze e l’invio delle armi per garantire la pace. Si pub mai accettare tanto danno per dei “no” privi di senso? Facciamolo un sacrificio. Rinunciamo a un po’ di pazienza e smettiamola di ascoltare sciocchezze.
Articolo pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia del 06 maggio 2022