L’Arpal serve più a votare che a lavorare. Più o meno come disse Mario Missiroli per l’Acquedotto: «Da quando esiste, ha dato molto più da mangiare che da bere». E così richiamò il contesto di “favori” nel reclutamento di personale e nelle forniture di beni e servizi.
Il suo nome secolare è “Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro”. Poi fu Arpal. Arpal e basta. Arpal e ho detto tutto. Arpal non più acronimo ma pure sineddoche: dire il contenitore per dire il contenuto. Arpal come il nome di un religioso che abbandona il secolo e con lui il nome di battesimo. Per intenderci e senza voler scherzare con i santi, come Padre Pio col suo nome secolare Francesco Forgione.
Negli ordini monastici il nome si cambia come segno di una nuova prospettiva di vita, sancita da una promessa a Dio che nella vulgata e per estrema semplificazione si dice «prendere i voti». Già, i voti. Ecco il punto. E proprio una materia di voti. L’Arpal, stando a documenti e cronache, è diventata una storia di compiti istituzionali trasfigurati in caccia ai voti e promesse di eterna devozione al dio delle urne.
Per far cosa questi voti? Non si sa. È indecifrabile, almeno allo stato, quale sia l’idea di riscatto umano offerta a giustificazione di così ampia bulimia elettorale, tanto confusionaria quanto pasticciata, rappresentata, tanto per darsi un tono, con quell’etichetta passe-partout (le liste civiche) appiccicata su prodotti politici occasionali e quindi senza realtà e senza durata. Prodotti attraverso cui la malattia del potere viene scambiata per il farmaco, in fondo nella vana speranza di poter ingannare la morte. Disturbi seri, insomma.
L’Arpal è un’agenzia che negli ultimi tempi ha accumulato numerose e discutibili decisioni. E proteste.
La protesta dei ciechi esclusi dai concorsi, probabilmente per far posto a quelli “miracolati” da vista più lunga e informata sul mondo e le sue seduzioni.
Le proteste dei legali-non-politici per le preferenze negli incarichi accordati ai legali-non-politici, perché all’Arpal va forte Trasimaco, sicché in materia di giustizia il giusto è l’utile del più forte.
Le proteste degli idonei non assunti da un bando perché surclassati dai partecipanti a un nuovo bando per mansioni equivalenti, ma con il riconoscimento di punteggio maggiore per la precedente esperienza lavorativa nella stessa Arpal. Un labirinto pure a scriverlo e a leggerlo.
Le proteste di tutti i partecipanti senza successo alle selezioni di reclutamento, colpevoli, così riportano le cronache stigmatizzando le coincidenze, di non aver alcuna voglia d’impegnarsi in politica o indisponibili al pendolarismo politico da gratitudine («cambi di casacca»).
Le proteste dei non reclutati per carenza del titolo di consigliere comunale o figlio di consigliere comunale, nonostante nei bandi non fosse previsto tale requisito. E anche su questo stanno nelle cronache le numerose coincidenze.
Di protesta in protesta si è accumulato un sentimento su cui sarebbe stato mostruoso non occuparsene. Far finta di niente.
Ecco dunque la proposta di legge per mettere fine a una gestione discutibile e non accordata con le finalità istituzionale di un’agenzia nata per favorire il lavoro. Di tutti. Senza preferenze e senza preferiti. Non una proposta contro una persona, ma contro una gestione attraverso la decadenza di una persona. Non c’è cosa umana che non cammini sulle gambe di persone, verrebbe da dire a chi si scaglia contro la proposta adducendo la personalizzazione dell’iniziativa, facendosi così sostenitore di un esito ridicolo, la spersonalizzazione della persona, nonché sepolcro imbiancato o difensore in malafede di pratiche non più tollerabili.
La proposta di legge per riformare l’Arpal è un atto di favore per l’imparzialità della pubblica amministrazione e contro ogni inerzia tollerante e complice, mentre tutto scorre, e chiaramente, sotto gli occhi di tutti. Sarà approvata nelle prossime settimane dal Consiglio regionale. Si spera. E tutto questo perché la pubblica amministrazione ha due nomi con valore di laica religione. Sempre due. Immutabili. Disciplina e onore. Anche quando costa tanto sia mantenerle che ripristinarle.
Articolo pubblicato su Corriere del Mezzogiorno Puglia del 4 giugno 2022