di Fabiano Amati
È inutile girarci attorno. I «no» alle fonti di energia rinnovabili appartengono alla lotta politica e diversamente da quanto si crede non hanno parentela con la cura del Creato. In fondo era stato Chico Mendes a confessarlo: «L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio».
Una precisazione i cui echi condiscono sia le comunicazioni e manifestazioni di protesta che il rifiuto ad attribuire neutralità partitica al programma ambientalista. E questo il contesto entro cul va letta la contraddizione italiana tra centinaia di pratiche per rinnovabili in attesa di autorizzazione e intere sessioni di incontri tra i “grandi” della Terra sull’emergenza climatica, punto centrale delle politiche green, e gli impegni a incentivare le rinnovabili. E magari bastassero da sole al raggiungimento dell’obiettivo. E pure in Puglia si sguazza in questa contraddizione.
A una Milena Gabanelli incuriosita dalle lentezze e dai paradossi pugliesi, il presidente Emiliano rilanciava non sui fatti obiettivi, ossia gli ostacoli normativi e amministrativi purtroppo non ancora rimossi, ma con proclami su richieste di compensazioni o risarcimenti per poter dare il via libera agli investimenti. Una frase forse detta per diluire e dilatare l’imponenza del problema, ma si spera non rivolta a ripetere l’esperienza del gasdotto: Tap e Snam stanno ancora attendendo che qualcuno si degni di accettare, proprio così, le somme promesse.
Andiamo ai numeri. In Puglia ci sono circa 400 pratiche bloccate per fotovoltaico, eolico e biomasse, per 15 potenziali miliardi di watt complessivi, e all’orizzonte sta emergendo la nuova ostilità sui parchi eolici offshore. Le richieste sono tutte candidate alla bocciatura, perché una norma del Piano paesaggistico può ben essere interpretata per respingerle, addirittura nei casi di insediamento in aree inquinate, come purtroppo è accaduto. Si, esatto. In un’area inquinata, dove anche la coltivazione è vietata, è stata respinta una domanda per fotovoltaico con la motivazione di assicurare – nientemeno – la necessità di tutela, valorizzazione e recupero dei valori paesaggistici.
La norma del Piano paesaggistico che si adatta ai pareri contrari seriali è l’articolo 37: un passaporto per ogni diniego discrezionale e in contrasto con i principi di legalità formale. In questo senso, anche l’orientamento del ministero della Cultura non sembra per nulla incline a modificare l’articolo 37 o altre norme ostative di quel Piano, anche se la Regione non ha in verità mai avanzato una richiesta formale. Ne deriva, allora, che tutta la narrazione e le buone intenzioni sul contenimento delle emissioni di CO2 sono in netto contrasto con la pratica politica e burocratica quotidiana.
E, come se non bastasse, anche sulle alternative localizzative in ambito offshore cominciano a mettersi in evidenza forti resistenze senza che la Regione Puglia abbia ancora espresso un’opinione chiara. Gli ingredienti sono dunque tutti in pentola per mettere in cottura il fallimento del più imponente programma ambientale della storia, lasciando spazio a pratiche inquinanti e insalubri. E il tutto per la propensione politica di gruppi minoritari ma rumorosi, motivati dall’ideologia nel contrastare un mondo in cui a dar fastidio pare sia l’uomo e la sua aspirazione inarrestabile al progresso e alla libertà. L’ambientalismo diventa giardinaggio non se gli manca la lotta di classe, ma quando scarseggiano la ragione e la tecnologia. Le due parole chiave della realtà.
Intervento pubblicato su Corriere del Mezzogiorno Puglia di domenica 7 novembre 2021, pagina 1
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