di Fabiano Amati
La riduzione delle liste d’attesa pagando prestazioni aggiuntive con risorse prelevate dalle tasse dei cittadini è nel migliore dei casi un fatto sporadico e nel peggiore un’illusione. E un fatto sporadico perché una volta esaurite le risorse per prestazioni aggiuntive tutto torna come prima.
È un’illusione perché le liste d’attesa sono generate dal mancato rispetto della normativa tra allineamento dei tempi dell’attività libero professionale a pagamento e quella istituzionale, cioè a carico del servizio sanitario regionale. Con la ovvia conseguenza che l’attività a pagamento va sospesa qualora i tempi non siano allineati. E questo per ciò che concerne le visite e gli esami ambulatoriali. Per quanto riguarda invece i ricoveri, soprattutto quelli di classe A cioè i più rilevanti, l’attesa deriva dalle sacche d’inefficienza che ancora si tollerarono, con il funzionamento di unità operative che lavorano sotto l’indice di produzione previsto dal decreto Balduzzi, disperdendo personale utile ed esponendo i pazienti a maggiori rischi, perché è obiettivamente inferiore la qualità organizzativa e tecnica in unità operative con casistica inferiore al minimo Sia nel caso delle liste d’attesa per visite o esami diagnostici che per ricoveri, c’è un notevole apparato di potere che impedisce le riforme derivanti dal rispetto delle norme vigenti, innescando paradossalmente maggiori costi a carico dei cittadini, con il pagamento di prestazioni aggiuntive sia nelle strutture pubbliche che private convenzionate. E tutto questo è attestato dai dati sempre scioccanti che forse nessuno
legge, contenuti nelle settimane indice che la Regione puntualmente compila senza però prendere provvedimenti
conseguenti. Ovviamente si dirà «è colpa del Covid». Ed è generalmente una scusa, se solo si consideri che in periodo pre-Covid i dati dell’attesa erano più o meno uguali a quelli di oggi e un gruppetto di medici riuscì a condizionare la giunta regionale, nella scorsa legislatura, per sabotare la mia proposta di legge sulla riduzione delle liste d’attesa, col risultato che nemmeno il testo sabotato risulta applicato. Insomma, non si possono inseguire gli argomenti sulle prestazioni aggiuntive a pagamento, con milioni e milioni di euro, ignorando che si violano sistematicamente le norme vigenti statali e pure quelle regionali, sull’allineamento dei tempi tra le prestazioni a pagamento e quelle istituzionali. Sino a quando noi politici non saremo coraggiosi nel prendere il toro per le coma parleremo sempre di liste d’attesa irrisolte, lacrimando tm po’ ipocritamente su fatti ove abbiamo la competenza ad assumere decisioni per non far più piangere le persone. E preciso, per evitare tiritere giustificazioniste, che il problema della carenza di personale, esistente, non è un buon motivo per giustificare la lunghezza delle liste d’attesa, perché i disallineamenti si verificano – lo ripeterò sino alla nausea – a parità (sottolineo parità) di personale impiegato, prestazioni richieste e ore lavorate. Se
quindi la parola chiave della normativa è una verifica su condizioni di parità, fosse vera la dipendenza del problema alla carenza di personale non ci dovrebbe essere disallineamento nei tempi. Una grande forza di volontà, guardando il problema dal punto di vista del malato e non degli ingranaggi che regolano l’organizzazione sanitaria, sarebbe più della metà del lavoro. Così facendo c’è il rischio di rendersi impopolari alla minoranza di medici che praticano l’attività libero professionale e che generalmente sono i più ascoltati e notiziati, pure a dispetto della maggioranza dei medici che non svolgono attività libero-professionale e che in silenzio tirano la carretta dell’intero sistema sanitario regionale. Sarà anche questa una predica inutile? Può darsi. A meno che non si cominci a far parlare un po’ più la coscienza e si metta a tacere ogni forma d’accondiscendenza.
Articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno Puglia del 08 gennaio 2022