di Antonello Cassano
Fabiano Amati usa l’arma tagliente dell’ironia per fare luce su quello che è avvenuto nel Pd regionale negli ultimi giorni. Come è noto, il segretario Enrico Letta ha dato al responsabile nazionale Enti locali, Francesco Boccia, l’incarico di commissario ad acta per portare il partito al congresso e rafforzarlo sui territori. Boccia a sua volta ha nominato un comitato di indirizzo che è composto da Antonio Decaro, Raffaele Piemontese e Loredana Capone. Il motivo è restituire un’autonomia al partito che secondo la minoranza interna (di cui il consigliere regionale Amati è sicuramente uno degli esponenti di punta) negli ultimi anni è stato troppo schiacciato sulla linea politica del governatore Michele Emiliano, grazie alla direzione data dal segretario regionale Lacarra. Proprio quest’ultimo, che aveva rimesso il suo mandato nelle mani di Letta, adesso non si dimette e rilancia la sua guida.
Che ne pensa, consigliere?
«Ma voi lo vedete Letta che nomina gli assistenti di Lacarra?».
In che senso?
«Lacarra nell’intervista al vostro giornale ha dichiarato nientepopodimeno che il segretario nazionale del Pd avrebbe nominato quattro persone, ovvero Boccia, Decaro, Piemontese e Capone, per fargli fare i suoi assistenti, i suoi vice. Diciamo che se non fosse una cosa che vorrebbe avere un minimo di serietà, sarebbe un copione per Checco Zalone».
Lacarra dichiara pure che potrebbe ricandidarsi alla guida del partito. A cosa serve allora il commissariamento?
«In realtà è una sua interpretazione. La verità è che Lacarra è stato commissariato, anche perché reputo difficile che Letta possa impegnare un componente della segreteria nazionale per mettere a posto le carte. Siamo di fronte a dichiarazioni da psicodramma per garantirsi un’uscita di scena onorevole e per non smentire Emiliano».
Perché?
«Perché il commissariamento affidato a Boccia è stato deciso proprio per ridurre la soggezione del Pd a Emiliano e avviare una stagione di collaborazione con il governatore. Adesso si deve passare dalla soggezione alla collaborazione attraverso atti di libertà».
Dove il Pd si è mostrato in soggezione rispetto a Emiliano?
«Sulla questione energetica, su Ilva, su Tap, sulla Xylella. Ma anche sull’obbligo vaccinale prima della pandemia. C’è una soggezione su alcuni argomenti di merito, peraltro in contrasto con quello che decide il Pd nazionale. L’ultimo episodio, quello della nomina di Rocco Palese ad assessore regionale alla Sanità, è emblematico di tutto questo».
Cosa dovrà fare Boccia da commissario?
«Deve sintonizzare il Pd regionale con quello nazionale e i Pd locali con il Pd regionale. E deve dire ai singoli comuni che il Pd regionale fa il tifo per i circoli locali e non per le liste che mettono a dimora personale politico».
Si riferisce alle civiche che fanno capo al presidente Emiliano?
«Non le chiamo così, perché ciò presuppone che nei partiti ci siano incivili. Più che liste civiche mi paiono iniziative legittime per mettere a dimora personale politico che gira continuamente».
Il commissariamento può rimettere a posto le cose?
«Ha questo mandato. E qui emerge l’ulteriore argomento che sottopongo a Boccia».
Quale?
«Deve provare a fare un congresso unitario, ma dobbiamo predisporci all’eventualità che questo non sia possibile, prevedendo le primarie aperte, perché non possiamo essere il partito delle posizioni di potere che si solidificano attraverso l’acquisto di tessere. Io per esempio non partecipo a quella gara».
Quindi se ne esce soltanto con le primarie?
«Certo, perché il partito altrimenti sarà sempre assoggettato a gruppi di potere: piccoli o grandi accampamenti che nel disputarsi il territorio di influenza poi finiscono per dimenticare i problemi della gente. E pensare che noi siamo il partito che aveva inventato le primarie».
Sullo sfondo c’è già la lotta per capire chi dovrà candidarsi alle prossime elezioni politiche.
«È proprio così. Questa vicenda ha un rilievo imponente per via delle liste bloccate alle elezioni politiche. Perché va in lista non chi è leale, ma chi sa garantire fedeltà. Se ci fossero le preferenze ci sarebbe meno baccano e i parlamentari si occuperebbero maggiormente dei problemi delle persone, come fanno i consiglieri regionali e comunali che hanno l’obbligo di ricordarsi chi li manda in consiglio regionale e comunale. Invece un eletto ha soltanto l’obbligo di ricordarsi chi li ha favoriti».
Articolo pubblicato su La Repubblica Bari del 31 marzo 2022