Tempo di guerra. Mettiamo un vescovo intento a dare dieci nuovi comandamenti. Ma fm qui, passi. E mettiamo pure un cristiano desideroso d’obbedire a quei comandamenti rivolti a disprezzare la guerra senza provare a mettere ordine nella realtà. Ebbene, quel cristiano ha bisogno di dieci finzioni per farsi paladino di questi comandamenti sull’idolatria della pace.
Prima finzione. Deve impegnarsi a percorrere il sentiero della pace e della benedizione senza mai pronunciare il nome di Caino-Putin.
Seconda finzione. Deve additare l’irragionevolezza della guerra, proiettando il pensiero bellico anche a carico dell’Ucraina che si difende.
Terza finzione. Deve costruire la pace sventolando bandiere nelle piazze pacifiche dei paesi democratici e poi a casa, prima che la minestra si freddi.
Quarta finzione. Deve avere, come colpo in penna, il capro espiatorio di una diplomazia sonnacchiosa incapace di fare ciò che non può: negoziare con i fiori in mano, seduti sulla bocca del cannone che spara.
Quinta finzione. Deve ribaltare la realtà e attribuire l’intento di esportare la democrazia alle nazioni che difendono gli ucraini attaccati, dimenticando che la guerra è invece cominciata con Putin desideroso d’esportare un’ideologia e una dittatura.
Sesta finzione. Deve mettere assieme i pianti per i morti di guerra di tutti i tempi, per evitare di piangerli uno per uno e man mano che muoiono, con il pesante fardello di ricordare i loro nomi e la mano del loro assassino.
Settima finzione. Deve spostare l’attenzione sull’ovvia accoglienza dei profughi e senza distinguo, per distogliere il pensiero dai carnefici da cui fuggono.
Ottava finzione. Deve criminalizzare sia chi si arma per non essere ucciso e chi lo fa per uccidere.
Nona finzione. Deve disporsi all’allusione su facce e aspetti taciuti o oscuri, anche se non conosciuti, per avere la possibilità di sostenere le buone ragioni senza spiegarne il perché.
Decima finzione. Deve saper lanciare il dibattito in cagnara e quindi collegare un conflitto sanguinario finanche con le più varie ed episodiche intemperanze da sociaL
Dieci finzioni per trasformare la pace in un idolo. Dieci regole per un pieno d’ambiguità e per non rispondere alle domande più semplici
È pace o è guerra soccorrere e difendere l’aggredito? È pace o guerra infliggere violenza agli altri? «Fare tutto il possibile per il dialogo» mentre uno degli interlocutori uccide è «amare sinceramente la vita» oppure è doppiezza?
Se i commenti meditati nel libro di Amos potevano essere usati per «trasformare il diritto in veleno» e per schiacciare l’oppresso e il debole, figurarsi quanto velenose possono rivelarsi le addizioni di buone intenzioni sulla pelle della realtà.
La guerra della Russia all’Ucraina si riduce peraltro a una circostanza semplice: un violento e potente esercito si è riversato contro una nazione assai più debole. Che si fa? L’Italia e molti paesi del mondo stanno fornendo armi di difesa e adottando sanzioni economiche. Qual è esattamente la colpa? Lo si dica, senza incertezze. La questione non è cosa fare durante la pace, ovviamente. La questione è cosa fare quando il debole è aggredito e l’aggressore non desiste. Si può amare la pace con il sangue altrui? Fare così non rende la pace il più odioso degli idoli?
Per quanto potrebbe farci piacere, la politica non nasce per soddisfare capricci adolescenziali; non conosco persone razionali dedite a contestare l’amore, la pace o la felicità.
La politica deve affrontare i temi dell’età adulta: quanto costa l’amore, la pace e la felicità? Qual è il prezzo che siamo disposti a pagare? E sarebbe meglio se la decisione potesse essere presa con l’aiuto di voci equilibrate e non equidistanti, come fu per esempio quella del cardinale Clemens August von Galen. II leone di Münster, non dovette riscrivere i comandamenti, gli bastarono quelli dati a Mosè per prendere posizione e mettersi dalla parte di Abele e resistere conto Hitler-Caino. Senza tentennamenti.
La grande Russia che Putin insegue richiama il disegno della grande Germania. Ci fu un momento in cui il programma fu considerato legittimo e si accettò la resa, vantandosi di aver portato «la pace per i nostri tempi», commentò Chamberlain. Non andò così. Quella pace, immaginata con la resa, si rivelò illusoria e ostacolò «la pace per tutti i tempi», come ricordò Kennedy qualche anno dopo.
L’ingerenza umanitaria è stata insegnata al diritto internazionale dalla Chiesa apostolica e romana, durante il pontificato di San Giovanni Paolo II. Chi definisce “pacefondai” i “né di qua né di là” non la fa per dileggio o per eccessi di sapienza, ma per stare su quella scia e per mettere un argine all’ipocrisia senza profezia.
Articolo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 27 marzo 2022