“Il padre Beppe Grillo poteva tacere sull’accusa penale rivolta al proprio figlio, ma nessuno può a questo punto tacere il senso politico di quelle dichiarazioni: tutto il castello delle riforme targate Cinquestelle, ispirate al più bieco populismo giudiziario, erano in malafede. Mi pare di poter dire, a questo punto, che il padre del movimento politico più gratuitamente crudele degli anni 2000 abbia abiurato la sua dottrina e preso le distanze dall’ex ministro Bonafede, per la rozza ragione del tengo-famiglia”.
Lo dichiara il Presidente della Commissione regionale Bilancio e programmazione Fabiano Amati.
“Abolizione della prescrizione, ergastolo ostativo, violazione dei principi di tassatività e determinatezza, riduzione delle prerogative dell’indagato o imputato, sostegno a iniziative giudiziarie senza né capo né coda, clima di sospetto e disprezzo per l’essenziale categoria professionale del difensore, sono stati i cavalli di battaglia dei Cinquestelle per abbattere avversari politici e prendere il potere. E un bel giorno, come d’incanto, ci ritroviamo il padre spirituale di tanta disumanità dalla parte opposta, cioè dalla parte della legalità formale, solo perché il proprio figlio è risultato indagato per un grave reato comune.
Io non conosco i fatti-reato e quindi, come sempre, mantengo un contegno riservato, confidando nella magistratura giudicante, ma una cosa è certa: la sortita di Grillo fa compiere ai Cinquestelle una rivoluzione copernicana, in grado di giustificare l’immediata riforma di tutte le cattive riforme approvate dal Parlamento su proposta di quel partito e oggi in contrasto con il nuovo Grillo parlante nella funzione, però, di papà”.