di Fabiano Amati
E finalmente con la parola di briscola “Pnrr”, cioè quella che vale ormai per tutte le imprese e per tutte le giustificazioni, stiamo “scoprendo” gli Ospedali di comunità, le Case della salute e i Presidi territoriali d’assistenza. In realtà – maledetta memoria!, padiglione cerebrale che in politica accoglie il malesangue – siamo in clamoroso ritardo, e di fondi sotto i ponti per realizzare queste meravigliose idee ne sono passati tanti e in molti casi sono andati perduti o sono stati rimodulati in altra spesa.
Ma andiamo per ordine. A seguito di un risveglio di soprassalto, qualche anno fa riuscimmo a comprendere che gli ospedali di base in tutte le città (grandi, medie e piccole) facevano più male che bene. E i cittadini, molto attenti alla salute, avevano sentenziato per tempo la loro morte. Come? Disertandoli quando avevano bisogno di cure e limitando la frequentazione solo per partecipare alle manifestazioni di protesta contro la riconversione. Un atteggiamento apparentemente contraddittorio ma indicativo della estrema politicizzazione del nostro sistema sanitario e dell’attuazione di quelle tecniche di eccitazione delle paure delle persone, troppo spesso attivate al solo scopo di affermare una battaglia politica e senza alcun interesse reale sull’argomento di lotta. Ma questa è un’altra storia. Nel frattempo, in una delle aziende sanitarie più piccole della regione, quella di Brindisi, un po’ per genio e un po’ per mancanza di alternative, il programma di riconversione fu preso sul serio e nel giro di pochi anni arrivarono gli Ospedali di comunità e i Presidi territoriali d’assistenza.
Strutture che oggi fanno bella mostra di efficienza con numeri di accesso da inorgoglire tutti gli statistici, ai quali è stata offerta la prova sul campo che l’80 per cento della domanda di salute – decimale più, decimale meno – riguarda le prestazioni territoriali. In quella Asl, sempre quella di Brindisi, si partì con la struttura di Cisternino il 28 dicembre 1999, la prima in Puglia, per poi proseguire con Fasano, Mesagne, Ceglie Messapica e San Pietro Vernotico. Cinque Ospedali di comunità e PTA, oggi pienamente funzionanti, cui presto si aggiungeranno quello già autorizzato e ristrutturato di San Pancrazio Salentino e quello in attesa di autorizzazione regionale di Latiano. Non è tutto: sullo sfondo c’è il grande Ospedale di Comunità di Brindisi, il “Di Summa”, già autorizzato e in attesa di finanziamento per la realizzazione degli interventi di ristrutturazione. Riassumendo: cinque già in funzione, ristrutturati o in via di ristrutturazione concomitante con il funzionamento e senza fondi del PNRR, uno prossimo all’apertura, uno a un passo dall’autorizzazione e uno in attesa di finanziamento.
E alla fine saranno otto in totale, con la possibilità di aggiungerne altri, così da sollevare dalle prestazioni inappropriate di tipo territoriale i tre ospedali per acuti in attività (Brindisi, Francavilla Fontana e Ostuni), che soprattutto per questo risultano affollati, e quello in costruzione di Monopoli-Fasano. E non bisogna tacere il fatto che gli Ospedali di comunità brindisini sono stati adattati nei mesi scorsi e a tempi record anche per gestire i pazienti Covid post-acuti; e questo ha significato che, mentre in altre province c’è stato il bisogno d’inventarsi, con discutibili esiti, i più opportuni rimedi d’emergenza, a Brindisi c’era già tutto ciò che serviva. Nelle altre province, invece, ed è qui la nota dolente, la riconversione dei vecchi e piccoli ospedali di base non ha avuto l’esito virtuoso sperato, tant’è che ad oggi sono pochissimi e sporadici, cioè privi di programmazione unitaria, e comunque fonte di conflitti ancora in corso (il caso Grottaglie è più che emblematico).
Qual è allora la notizia di questi giorni? La possibilità della Regione Puglia di colmare il clamoroso ritardo sugli Ospedali di comunità, attraverso l’opportunità dei finanziamenti del PNRR. Ma basteranno solo quei fondi? Anche in passato, in realtà, i finanziamenti non sono mancati. Anzi. I soldi sono stati piuttosto l’ultimo dei problemi. La realtà è che si sconta, su questa questione, innanzitutto il ruolo da Cenerentola che le organizzazioni sanitarie attribuiscono all’assistenza territoriale, luogo di assistenza amorevole di massa senza proporzionato prestigio; a ciò si aggiunga l’eccesso di burocratizzazione dei procedimenti amministravi, farcito sempre da innumerevoli atti soprassessori (tradotto: atti per perdere e prendere tempo) e la forte conflittualità sindacale che l’universo sanitario si porta appresso a causa dell’essenzialità del servizio e degli argomenti compassionevoli che talvolta vengono usati per nascondere interessi individuali o di gruppo. E su questo i politici c’entrano poco, purtroppo, ma dovrebbero c’entrare di più; cominciando a smetterla di assecondare immobilismo e casi di managerialità lodati come appropriati perché si utilizza l’occhio lento della pubblica amministrazione piuttosto che i canoni dell’efficienza dell’impresa privata. La nostra sanità pubblica, universalista, in grado di provare sentimento per i malati in misura superiore a qualsiasi altra struttura privata, anche di tendenza religiosa o fondata sull’agape, cioè sull’amore che non vuole essere misurato, perde il suo prestigio se non si fa temperare dai criteri di efficienza dei privati.
E infatti per letteratura politica surreale e paradossale, siamo finiti per essere un paese liberista e mercatista dove dovremmo essere statalisti, la sanità innanzitutto, e un paese statalista e dirigista dove dovremmo essere liberisti, per esempio nell’industria e nei settori di produzione di beni e servizi. Un’inversione di prospettiva che quando si solleva dai libri e dagli articoli giornalistici per poggiarsi sulla realtà, dice che non abbiamo gli Ospedali di comunità, le Case della salute e i Presidi territoriali di assistenza che a quest’ora avremmo dovuto avere e a pieno regime. E questo è un gran guaio, che non può passare sotto silenzio. Occorre dirlo non tanto per processare le bugie ma per ricordare un passato in cui non si è fatto ciò che si doveva e poteva, oltre che per tenere a memoria che non sono le carte di briscola discorsive a far progredire il mondo, tipo il Pnrr, ma l’impegno continuo, il controllo tignoso e le più opportune misure di contenimento delle voci verbali coniugate al futuro: faremo, realizzeremo, custodiremo, attiveremo. Il tempo vince sempre sulla storia degli uomini anche quando gli uomini non lo perdono, mettendosi in ginocchio al suo cospetto e chiedendo clemenza. Mi pare opportuno però non dargli ulteriori vantaggi nel settore delle cure sanitarie, ossia quello in cui si fa di tutto per combattere il suo inesorabile incedere segnato col tic-tac del dolore.
Pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia di martedì 26 ottobre 2021, pagina 1