Sulla proposta di legge sul fine vita c’è chi dice no.
Sulla proposta di legge sul fine vita c’è chi dice no. Dopo un momento di perplessità, mi chiedo: ma si può dire no all’esecuzione di una legge o di una sentenza della Corte costituzionale? “No”, non si può dire “no”, risponderebbero in coro giuristi, medici, professionisti, artigiani, operai, disoccupati e pure cattolici, laici, vescovi e sacerdoti.
E allora perché si dice “no”? Per quale motivo non si dovrebbe eseguire una sentenza e un invito energico ad agire del Ministero della Sanità alle regioni?
Non si sa, perché da subito la Conferenza episcopale pugliese, qualche partito politico e vari esperti ispirati hanno eccepito prendendo l’argomento da dove hanno voluto, fuorché dal punto da cui va preso: ossia l’esecuzione di una sentenza della Consulta. Un caso, insomma, di diritto di parola senza il previo dovere di conoscenza.
La sentenza prescrive alle strutture sanitarie pubbliche, nell’attesa dell’intervento del Parlamento, di assicurare la prestazione di aiuto alla morte di malati terminali e irreversibili, indicando alcune strettissime condizioni. La proposta di legge pugliese si limita a fornire modalità organizzative per eseguire quanto stabilito dalla Corte costituzionale. Punto. Questo è il tema. Tutto il resto è materia rispettabile, a tratti pure condivisibile, ma fuori dal tema, e lascia intravedere la volontà di mettere l’arbitrio al posto del diritto.
“La denigrazione del diritto non è mai ed in nessun modo al servizio della libertà, ma è sempre uno strumento della dittatura”, diceva nel 1999 Joseph Ratzinger ricevendo una laurea in giurisprudenza a motivo d’onore.
Ma Ratzinger non è forse un autore amato, perché non si rende complice del metodo della dissipazione delle parole, al punto da ingiungere, con chiarezza da brividi, una regola semplice e da scolpire: “L’eliminazione del diritto è disprezzo dell’uomo; ove non vi è diritto, non vi è libertà”.
La proposta di legge pugliese è un modo semplice per evitare, attraverso la disapplicazione di una regola vigente, la denigrazione del diritto. Non è possibile per nessuno, ragionevolmente, sabotare l’esecuzione del diritto come scorciatoia alla strada più difficile, cioè a quella rivolta a modificare il diritto vigente.Certo, ci sono altre questioni da aggiungere al buon governo, a cominciare dalle cure palliative; ma la mancanza di una cosa non si supera privandosi di altre cose. Il bisogno d’altro, sia pur ben argomentato e magari con il piglio offerto dalla boria del bene, ossia quel continuo ammirarsi nella propria eccellenza morale, non può addirittura scadere nel benaltrismo; quel noto “gioco” dialettico attraverso cui raggiungere l’obiettivo di non fare niente.
Nella prospettiva della sentenza non rileva il punto di vista giuridico, etico o morale del singolo legislatore; non si siede nei parlamenti o nei consigli regionali per vietare agli altri diritti che non si ha intenzione di esercitare per sé. Chi legifera non pensa a sé ma alla libertà che la sua legge realizza per gli altri.
La Corte costituzionale è intervenuta per riparare le inerzie del Parlamento nazionale, impallato in un decennale confronto attorno a questi argomenti. Una disputa consumata estraniandosi, purtroppo, dall’immedesimazione nel dolore e nella sofferenza di chi reclama il congedo dalla vita per porre fine alla morte della dignità fisica e psicologica.
Certo, la sofferenza e il dolore sono il problema più grosso della condizione umana e in fondo è su questo che l’uomo cominciò a cercare Dio e molti così scoprirono che “nella fine, l’inizio”, detto con il teologo della speranza Jürgen Moltmann. Nella legge sul fine vita non c’è nulla di offensivo nei confronti del dono della vita se si guarda all’esistenza come esperienza e non come esperimento di sopravvivenza portato alle più estreme conseguenze di dolore. E ciò proprio perché confido nella fine come inizio e vivo nella speranza che sia proprio così. Perché se non fosse così, sarebbe ancora più crudele condannare le persone a rimanere in vita senza alcuna speranza e solo per sperimentare il vano soffrire.
Articolo pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 30 luglio 2022