“L’esame della proposta di legge per ridurre le liste d’attesa comincia male. Ho colto nel dibattito resistenze già sentite nella scorsa legislatura. Il meccanismo della sospensione delle prestazioni a pagamento in caso di disallineamento con i tempi delle prestazioni istituzionali è una delle soluzioni da prendere immediatamente. Lo prevede la legge statale, sinora mai applicata nella nostra regione. Speriamo bene per i prossimi giorni, perché non possiamo perdere tempo in riunioni, confronti, tavoli e tavolini, mentre la maggior parte delle persone tornano a casa umiliate dopo l’esperienza dolorosa in fila al Cup”.
Lo dichiara il Consigliere regionale del Partito Democratico Fabiano Amati.
“Nella scorsa legislatura fu approvata una legge, quella vigente, molto diversa da quella originariamente depositata, che invece prevedeva le norme che oggi abbiamo riproposto.
Le modifiche maggiori all’atto dell’approvazione riguardarono l’affievolimento delle misure di contrasto al cronico superamento dei tempi massimi d’attesa per le prestazioni sanitarie, peraltro risultanti con nettezza da tutti i dati in possesso dell’amministrazione regionale, anche in violazione delle disposizioni contenute nelle leggi, nel Piano nazionale di governo delle liste d’attesa (PNGLA) e dello stesso contratto collettivo dei dirigenti medici.
Il motivo dell’affievolimento delle misure era fondato sulla speranza che il sistema sanitario sarebbe stato in grado di trovare al suo interno ogni rimedio organizzativo per contenere i problemi dell’attesa diversi dalla carenza di personale o di attrezzature, ossia le questioni poste in rilievo dall’originaria proposta di legge e dalla presente.
Fatto sta che nemmeno la maggior parte delle norme vigenti sono state eseguite, finanche le più semplici, tant’è che il quadro dell’attesa nelle prestazioni sanitarie presenta i soliti e gravi ritardi e le notevoli differenze di risposta dello stesso sistema sanitario tra l’attesa per prestazioni istituzionali e quella per prestazioni in Attività libero professionale intramuraria a pagamento (ALPI), a parità – ovviamente – di personale impiegato, ore lavorate e prestazioni richieste.
Tale situazione non può più proseguire, rappresentando peraltro una grave violazione della legge, del PNGLA e del contratto dei medici, avvertendo l’inconferenza delle tre obiezioni classiche; 1) l’ALPI si svolge fuori dall’orario d lavoro: certo, ma poiché le ore lavorate in ALPI devono essere pari a quelle utilizzate nell’attività istituzionale per la stessa prestazione, cui non si comprende per quale motivo il numero delle prestazioni in ALPI risultano sempre superiori a quelle istituzionali; 2) i tempi d’attesa delle prestazioni istituzionali sono più lunghi di quelli in ALPI per carenza di personale: l’argomento è privo di pregio perché la comparazione sui tempi d’attesa, da cui emerge il disallineamento, avviene a parità di personale impiegato, ore lavorate e prestazioni richieste; 3) non è questo il problema: per ogni problema c’è sempre uno più grande che lo precede, ma tutto ciò non può far desistere dall’affrontare – anche uno per uno – i problemi più piccoli che compongono quello più grande.
Abbiamo ovviamente la piena consapevolezza della specificità tutta italiana di avere uno dei rapporti più alti al mondo di medici per popolazione e al contempo essere uno dei paesi del mondo con le remunerazioni ai medici più basse. E nel mentre si auspica un maggiore impegno del Parlamento nazionale, del Governo e delle organizzazioni sindacali, finalizzato all’allineamento ai Paesi più avanzati degli stipendi dei medici, non si può tacere davanti le notevoli problematiche connesse al fatto che un così grande numero di medici non sia in grado di assicurare una tempistica nelle prestazioni adeguata alle varie classi di priorità.
Per questi motivi abbiamo ripresentato le norme contenute nella proposta di legge originaria e purtroppo modificate dal Consiglio regionale.
L’articolo 1 prevede la decadenza dei Direttori generali qualora non eseguano entro trenta giorni dall’entrata in vigore della nuova legge, le attività previste dalla legge vigente e che dopo più di tre anni – purtroppo – non hanno ancora eseguito.
L’articolo 2 prevede la sospensione dell’ALPI qualora i tempi di attesa per le prestazioni istituzionali siano superiori di più di cinque giorni rispetto a quelle erogata in ALPI. Nel periodo di sospensione dell’ALPI, il Direttore generale provvede ad impartire al responsabile della specialità sottoposta a sospensione ulteriori istruzioni, anche integrative o in deroga all’atto aziendale, per contrarre i tempi d’attesa nel regime istituzionale. Tra i provvedimenti integrativi o in deroga rientrano un programma finalizzato di incentivi economici in favore del personale della specialità sospesa, a valere sul fondo aziendale vincolato alla riduzione delle liste d’attesa, solo qualora il motivo del disallineamento sia motivatamente dovuto a carenze strutturali o di organico.
L’articolo 3 prevede la revoca della sospensione dell’ALPI qualora i tempi d’attesa in regime istituzionale siano allineati con quelli in regime ALPI che determinarono la sospensione.
L’articolo 4 prevede che l’attività libero professionale intramuraria allargata può essere autorizzata solo con un provvedimento, adottato dal Direttore generale dell’azienda sanitaria interessata, attestante in modo dettagliato la carenza di spazi e attrezzature all’interno dell’intera struttura sanitaria ove opera il dirigente medico richiedente e sulla base di parere obbligatorio e vincolante del direttore sanitario di presidio. Il provvedimento di autorizzazione acquisisce efficacia solo dopo la pubblicazione in apposita sezione del sito internet della azienda interessata”.