Dichiarazione del Consigliere regionale Fabiano Amati.
“I referendum giustizia hanno mancato il quorum. Ha vinto il ben-altro-è-il-problema, lasciandoci in dote sia il problema che il suo ben-altro. E da oggi sarà come ieri. Tutto uguale. Come se prima di ieri andasse tutto bene.
Nulla è cambiato e oggi si riprende l’attività solo con tanti argomenti in più per duettare e intrattenersi sui social, facendo credere che la questione giustizia non sia un fatto molto concreto di vita ordinaria, riguardante tutti, ma un tentativo criminale per portare i cattivi in libertà e confonderli con i buoni, scambiando il ruolo dello sceriffo con quello del bandito.
La questione giustizia è invece un terribile rallentamento delle attività del Paese per gli effetti distruttivi dell’indagine penale, nei casi non sporadici in cui è avviata con auto-attribuzione di ruoli politici, salvifici, e quindi con attitudine di sentenza definitiva e inappellabile. Un marchio a fuoco incancellabile anche con la più abrasiva delle sentenze, perché la sentenza arriva sempre troppo tardi e quindi quando è troppo tardi per rimettere in sesto una vita data per pasto alla parte belluina che risiede in ognuno di noi, quale eccesso della nostra natura contro cui combattiamo, spesso invano.
Se l’attività d’informazione sui quesiti referendari fosse stata almeno pari ai commenti che sentiremo sull’esito, il referendum avrebbe raggiunto il quorum e quindi avrebbe vinto la volontà riformatrice degli italiani, molto chiara per quantità di SÌ.
Ciò significa da un lato l’importanza del tema e dall’altro l’eccesso di politicizzazione inconcludente in cui siamo immersi, per cui non conta la musica che si suona ma il musicista che l’orchestra.
Per alcuni ha infatti contato chi si era intestata la raccolta delle firme e non la quantità dei cittadini firmatari, in una sagra di posizionamento politico e nonostante chi le ha raccolte poi se la sia data a gambe per sottrarsi alla probabile sconfitta.
Per altri ha contato di più l’antica soggezione nei confronti dell’ufficio del Pubblico ministero, anche a discapito di una maggiore fiducia che in realtà andrebbe recuperata nei confronti della magistratura giudicante.
Insomma, un assortimento di motivi in grado di far fallire questo avvenimento di democrazia con l’ambizione di sollecitare il sin troppo inerte Parlamento. Perché lo scopo del referendum, in fondo, era esattamente quello di spingere per le riforme. Peccato. Sarà per un’altra volta”.