di Fabiano AMATI
Potremmo chiamarli “pacefondai”: agiscono per la pace e finiscono – non volendo – per favorire la guerra. Pacifisti con la vita degli altri, sfilando nelle piazze con meticolosa equidistanza. Un metodo inane e con giudizi pronunciati in comfort zone, senza ansietà e percezione diretta del rischio, su scenari ove il rischio cade in testa con bombe a grappoli di fuoco. Inseguire la pace come valore terzista, non considerando però che il rifiuto di calibrare conseguenze diverse tra aggressione e resistenza, schiaccia nella maledizione del neutralismo, troppo per gli uni e troppo poco per gli altri, e indebolisce il negoziato diplomatico pacifico; le pretese inique dell’invasore si ringalluzziscono proprio se circondate da opinioni neutrali. I “pacefondai” mischiano in buona sostanza le colpe dell’aggressore, il dittatore Putin, con il dovere di soccorso nei confronti dell’aggredito; l’irragionevolezza dell’attacco con critiche a ipotetici e mai specificati episodi passati di disimpegno occidentale dal dialogo, sicché le critiche finiscono col resistere a ogni obiezione perché si presentano senza alcuna specificazione di tempo e di luogo, e che se pur fossero vere non sposterebbero i termini della questione. Ossia, non fatti ma zufoli. Si cominci invece col dire che in questa guerra il primo punto d’onore degli offesi (Ucraina, Occidente, Nato) consiste nel non essere gli offensori. E nonostante il clima sia surriscaldato e magari incline a far saltare i nervi alla vista di tanta Umanità uccisa e in fuga, l’Occidente sta evitando di premere il grilletto di una catastrofe bellica, preferendo una deterrenza composta da diplomazia, aiuti al popolo invaso e sanzioni economiche, che pur nella loro durezza non sono idonee a spingersi mai sino al punto di non ritorno. La deterrenza. È questa la parola chiave a fondamento delle strategie militari dei Paesi liberi e demo- cratici. E quando si leggono le riflessioni dei “pacefondai”, stirate dal demone del bene e in “guerra” con il concetto di deterrenza, è nella mancata risposta alla domanda spontanea “e quindi?” che essi suicidano le buone intenzioni. La pace non è un’iniziativa a-politica da dopolavoro. Non è uno scenario disegnato su un’immaginaria finestra sul mondo, ove si possono tratteggiare a piacimento le sagome per raggiungere – altrettanto a piacimento – le conclusioni auspicate. La pace è invece un obiettivo da raggiungere aprendo la finestra sul mondo, affacciandosi e guardando in faccia la realtà, fatta purtroppo di sangue e morte, immedesimandosi nelle pene più visibili e invisibili, sui rischi attuali e in agguato, calcolando con scienza e tecnica tutte le connessioni tra forza militare e tecnologica, obiettivi strategici da sottrarre a ritorsioni (centrali nucleari) e potenziale dissuasivo delle sanzioni economiche. E il tutto per ridurre al massimo la perdita di vite umane e l’esposizione ai rischi, così da ottenere la pace. La pace è quindi una pratica politica e militare, alimentata ogni giorno con la materia prima della deterrenza usata con l’unica risorsa naturale di cui disponiamo: la mente e la sua capacità d’inventare, ra * gionare e negoziare. Più è efficace la forza di deterrenza e più si allontanano le tentazioni d’invasione o più si avvicinano le possibilità di ritiro dell’invasore. E si fa deterrenza anche riducendo i ricatti da dipendenza a monopoli di fonti energetiche, attraverso la costruzione di infrastrutture per guadagnare autonomia d’approvvigionamento e quindi pace. Esatto, pace. Pensare come pure fanno sottovoce i “pacefondai”, animati da tolstoiane buone intenzioni, di non interferire con il passaggio dell’Ucraina al controllo russo, così da acquietare lo spirito conquistatore di Putin e magari bevendosi l’improbabile movente della più ampia zona di confine tra Russia e Nato, significa non aver compreso che nel XXI secolo il territorio non è solo suolo ma cielo e spazio con sempre meno confini e limiti di gittata degli ordigni, con la conseguenza che in realtà Putin non teme un attacco militare della Nato ma – come ha ben detto giorni fa Ernesto Galli della Loggia – il soffio contagioso della libertà, che dall’Ucraina, dalla Moldavia, dalla Georgia possa spingersi sino a Mosca decretando la fine del suo regime. E non si dica che la conseguenza di questo conflitto sia la voracità espansionistica della Nato, perché a quell’organizzazione gli stati aderiscono volontariamente per scopi difensivi e non offensivi e perché sotto l’ombrello della Nato i Paesi hanno la possibilità di «decidere in modo autonomo il proprio destino» come disse Enrico Berlinguer nel 1976 a un incredulo Gianpaolo Pansa che l’intervistava, aggiungendo che la libertà garantita dalla Nato rendeva addirittura più semplice la costruzione del socialismo. La Nato come garanzia di libertà nel 1976 – potenza della storia quando non la si dimentica- figurarsi nel 2022 e di fronte a un gesto spietato compiuto in un tempo abbondantemente posteriore alla cortina di ferro. Anche sul fronte spirituale su cui si è forgiata l’Europa c’è il bisogno di reclamare segnali di chiarezza; una posizione in grado di scegliere tra la vittima Abele e il carnefice Caino e presa ovviamente con cocente preoccupazione, “Mit brennender Sorge”, come fece Pio XI dando l’enciclica scritta dal futuro Pio XII contro I Iitler e il nazismo. Servono più profezie e parole scandalose su giustizia e verità e meno gregarismo con la spiritualità mondana dei tempi, come purtroppo accade anche nella riflessione di molti pastori contemporanei sempre meno inclini a ripercorrere nella fede l’esperienza di Clemens Augustvon Galen, il Leone di Münster. L’invasione dell’Ucraina deve servirci a prendere congedo dall’idea di parità strategica da disarmo, come se fosse per sé stessa portatrice di pace, perché ci può sempre essere un Putin fascista alle porte pronto ad approfittarne. Ad approfittare della nostra libertà declinata nella democrazia e nella pace; quella stessa che nell’ambito delle Nazioni Unite assicura finanche alla Russia di bloccare l’intervento dei caschi blu, incredibilmente reclamato nei cortei come soluzione decisiva nonostante sia obiettivamente impossibile assicurarlo pervia delveto russo. Si pub essere più “pacefondal” di così? E il tutto mentre sul capo degli ucraini in fuga cadono bombe come grappoli di fuoco e ci sentiamo implorare di fare qualcosa.
Pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia del 07/03/2022