I dirigenti dell’Arpal non possono usare le loro funzioni per organizzare liste elettorali. Ci vuole molto a comprenderlo? Ci vuole molto a considerare la disciplina e l’onore come elementi fondamentali della pubblica amministrazione? Perché non si prende dal capo questo dibattito?
È in corso un tentativo di riformare l’Arpal perché l’attuale gestione è contro le persone. Punto. Non si tratta dunque di un atto contro una persona, ma di un’iniziativa per tutelare migliaia di persone attraverso la decadenza di una persona. In una frase, occuparsi delle eventuali distorsioni celate nel particolare per far prevalere il generale. Ecco il senso della proposta di riforma.
Non si può ragionare su questo argomento fingendosi smarriti o svampiti sulle ragioni della riforma, girovagando attorno a questioni marginali.
Non è difficile mettere assieme gli articoli di denuncia e inchiesta pubblicati sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Così, tanto per farsi un quadro.
Se qualcuno pensa che la Gazzetta del Mezzogiorno abbia raccontato bugie e che i suoi giornalisti siano bugiardi, faccia quel che si fa in questi casi, si querelino per diffamazione.
Ma se invece il sistema delle “coincidenze” diventa un po’ troppo coincidente non sembra proprio il caso di attivare armi di distrazione di massa.
Certo, un’inchiesta giornalistica non equivale a un accertamento amministrativo, ma nella pubblica amministrazione la cifra del buon andamento è pure nella tutela anticipata, ossia i rimedi adottati prima che possa capitare qualcosa.
E allora: non si può tacciare di faziosità una riforma scritta per reagire a numerosi allarmi di faziosità. Basta scorrere i titoli: “Il partito del direttore piazza consiglieri comunali e figli. Ecco la Parentopoli dell’Arpal” (Gazzetta del 12 aprile); “Arpal, quelle assunzioni dopo i cambi di casacca” (Gazzetta del 13 aprile); “Arpal nel caos Parentopoli – E spunta il bando su misura per assumere i parenti” (Gazzetta del 14 aprile); “Arpal, ai politici pure incarichi legali” (Gazzetta del 20 aprile); “L’Arpal discrimina i ciechi” (Gazzetta del 24 aprile).
Accreditare l’idea di una riforma presentata per beghe personali è certamente un’opinione, ma priva di pudore e senso del limite.
È invece una riforma ricca di politica se per politica s’intende un modo per migliorare con concretezza le condizioni delle persone e non un rumoroso gioco di società, dove la corsa la vince chi non sa dove andare.
In queste ore giuristi d’occasione imbracciano l’argomento della incostituzionalità della riforma, più o meno come don Abbondio a Renzo sciorinando con il “latinorum” gli impedimenti alle nozze: «Si piglia gioco di me?» interruppe il giovine. «Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?» Già, che volete si faccia dell’incostituzionalità? Soprattutto se poi tale incostituzionalità dovesse consistere nel fatto, come pure è stato scritto, di una legge regionale in riforma di un’altra legge regionale. Ma dai! Da quando una legge regionale non può modificare una legge regionale? Vogliamo mettere fuorilegge il chiodo scaccia chiodo?
La proposta di riforma adotta una revisione degli organi di governo, istituendo il Consiglio d’amministrazione.
Ai proponenti della proposta di riforma sarebbe piaciuta la sostituzione della funzione del Direttore generale con quella dell’Amministratore unico. Semplicemente. Ma non si può avere tutto. Nell’esame del testo in Commissione la maggior parte dei componenti hanno preferito affiancare al Direttore generale il Consiglio d’amministrazione, per imitare l’organizzazione dell’Agenzia nazionale. Può mai essere incostituzionale una legge regionale in imitazione di una legge statale? Si dubita, anche perché l’obiezione appare fin troppo sottile anche per il più sottile dei giudici costituzionali.
La riforma è molto probabile vada in porto, anche perché sostenuta dal parere favorevole del Governo regionale.
È comprensibile l’attivismo degli interessati e dei loro simpatizzanti nel resistere alla riforma, difendere una carica e con esso un metodo di lavoro. Appunto.
Ma la prospettiva degli interessati alla carica di direzione dell’Arpal non può coincidere con quella del legislatore regionale che, posto di fronte al rischio di tollerare con l’inerzia rischiose esuberanze degli interessati, reagisce recuperando il suo ruolo prioritario: rendere disinteressati gli interessi degli interessati.
È tutto qui il senso della proposta di riforma.
Articolo pubblicato su Gazzetta del Mezzogiorno del 07 giugno 2022