“Siamo carnefici e vittime di noi stessi, perché rifiutiamo la genetica in agricoltura e così facendo rinunciamo alla maggiore resa dei terreni, favoriamo i pesticidi e paghiamo di più i prodotti. E tutto ciò in tempo di guerra significa il grano a 500 dollari a tonnellata e difficoltà nell’approvvigionamento dei mangimi. Insomma, un’ideologia inquinante e poco propensa alla prosperità, impedisce la trasformazione dell’agricoltura tradizionale in eco-agricoltura. A questo si aggiunga il paradosso che vietiamo la coltivazione di mangimi OGM e però l’importiamo nella misura dell’85 per cento del fabbisogno e da quel bestiame produciamo i nostri prodotti con le maggiori tutele sul marchio (parmigiano, prosciutto crudo). Serve un’urgente innovazione mettendo a frutto i grandi risultati dell’innovazione scientifica”.
Lo dichiarano i Presidenti delle Commissioni Programmazione e Attività produttive, Fabiano Amati e Francesco Paolicelli, commentando le audizioni odierne con rappresentanti del CREA (Nicola Pecchioni e Pasquale Devita) e CNR (Roberto Defez).
“I maggiori problemi nella produzione agricola nazionale, esaltati in questi giorni dalla guerra, riguardano il mancato utilizzo delle tecnologie genetiche per l’intensificazione delle rese e la riduzione delle quote d’importazione. La genetica è infatti in grado di aumentare la produttività per ettaro, senza aumentare, oppure addirittura diminuire, gli apporti energetici o l’uso dei fertilizzanti.
Sino alla metà degli anni 90 del secolo scorso, la genetica italiana era un’eccellenza e si poneva al servizio del miglioramento delle condizioni di coltivazione, fiancheggiata dallo sviluppo della meccanica.
La grande battuta d’arresto nella ricerca, determinata anche da ostracismi conservatori nei confronti delle nuove tecnologie, ha comportato una paradossale minore produzione nazionale fronteggiata attraverso la maggiore importazione di prodotti che invece avremmo potuto produrre. E ciò perché, pensando solo al settore zootecnico, senza l’importazione dei prodotti che ci rifiutiamo per ideologia di coltivare, non esporteremmo merci per un valore commerciale di 3 miliardi di euro, con particolare riferimento ai prodotti più prestigiosi del made in Italy alimentare.
La Puglia su questo punto e in particolare nel settore della coltivazione di grano duro, può svolgere un ruolo guida anche con l’ausilio del CREA di Foggia, impegnato in importantissime ricerche per aumentare la variabilità dei semi e quindi il potenziale di maggior resa e autonomia dall’estero e minor uso di energia e pesticidi.
In questo senso può valere come indicatore il fatto che la dipendenza dall’estero ha anche comportato la seguente impennata del prezzo del grano: nel 2016 a 176 dollari a tonnellata, nel 2017 a 178, nel 2018 a 203, nel 2019 a 211, nel 2020 a 227, nel 2021 a 281, nelle prime settimane del 2022 a 322 e in questi giorni a 400-500 dollari.
Va anche aggiunto che in Puglia abbiamo l’opportunità di praticare l’innovazione anche abilitando i quasi 200 depuratori delle acque reflue a un processo di affinamento e potabilizzazione, come avviene nell’impianto di Fasano-Forcatella, in grado di ridurre anche l’apporto di acqua da sorgenti destinata prioritariamente al potabile.
Su tutti questi punti abbiamo registrato con soddisfazione l’impegno dell’assessore Pentassuglia nel portare avanti, in ogni ambito della programmazione a breve, medio o lungo periodo, questo processo d’innovazione totale del settore, abbattendo tutte le resistenze non accordate con la prova scientifica e inesorabilmente dirette contro il necessario passaggio alla eco-agricoltura e a maggiori prospettive di resa e riduzione dei fattori di spreco e inquinamento”.