Vietato vietare l’intelligenza artificiale a scuola

di FABIANO AMATI

dal Corriere del Mezzogiorno del 11 aprile 2025

Vietato vietare l’intelligenza artificiale a scuola

Il divieto di usare l’intelligenza artificiale a scuola non è un atto educativo. È un istinto.
Un riflesso condizionato, come quello di chi chiude gli occhi davanti a una luce troppo intensa. Solo che qui la luce è quella del futuro. E a chiuderli, come spesso accade, sono gli adulti.

Non c’è pedagogia nel proibizionismo digitale: c’è solo paura. Paura di perdere il controllo, del confronto, del ribaltamento gerarchico: il docente che inciampa, l’alunno che vola.
E allora via coi divieti, come se bastasse spegnere il router per bloccare una rivoluzione epocale.
Ma lo sappiamo: i divieti non arrestano la realtà. La clandestinizzano. E spesso la esaltano.

Così nasce una scuola schizofrenica: si chiede spirito critico, ma si proibisce lo strumento che oggi più di ogni altro potrebbe esercitarlo. Si parla di futuro, ma si ragiona con l’eco del passato.

Il problema vero non è (solo) pedagogico. È generazionale.
Da un lato, studenti che usano l’intelligenza artificiale come estensione del pensiero e trovano ogni via — bravi! — per eludere i divieti. Un po’ come i predecessori con le cartucciere.
Dall’altro, docenti spesso in difficoltà a cogliere la portata della rivoluzione in corso, che reagiscono reclamando lo scudo della proibizione.

Ma vietare ciò che non si conosce è una forma passiva di censura, e insieme un modo garbato per mascherare i ritardi di adattamento.

La soluzione è semplice: non vietare l’IA agli studenti, ma imporne la conoscenza agli insegnanti.
Formazione obbligatoria, estesa, continua. Non per umiliare nessuno, ma per rimettere tutti in pari.
Non con il metro della gerarchia scolastica, ma con quello della realtà, che — nel campo dell’IA — sta già capovolgendo ogni gerarchia.

Solo così sarà possibile valutare non l’assenza dell’IA, ma la qualità del suo uso. Come si fa con qualsiasi strumento: la calcolatrice, la grammatica, il cervello.

L’autenticità del pensiero non risiede nei divieti, ma nella capacità di guidare la macchina.
Il vero discrimine oggi non è tra chi copia e chi non copia, ma tra chi sa usare l’intelligenza artificiale e chi no.

E per chi teme la sparizione della voce umana, c’è un rimedio antico e potente: ridare valore alla memoria, alla letteratura, alla prova orale.
Imparare poesie — unione semantica di “fare” e “sentire” —, allenare la mente a costruire frasi, immagini, nessi, idee.
E poi darli in pasto alla macchina, sì. Ma non per farsi sostituire: per farsi potenziare.

Chi avrà usato bene l’IA farà anche una grande interrogazione.
Perché non avrà copiato, ma costruito. Non si sarà nascosto, ma si sarà rivelato meglio.
Lo sforzo starà tutto nella capacità degli insegnanti di riconoscere l’intelligenza, anche quando è aumentata.

Un legislatore degno di questo nome non può proteggere chi rifiuta il cambiamento per paura, ma chi deve imparare per vivere nel mondo con gli strumenti della modernità.
Un Paese non muore per i giovani che non sanno, ma per gli adulti che non vogliono più imparare.
Si invecchia davvero quando si comincia a difendere il cervello già pieno, invece di onorare quello ancora da riempire.

Ecco perché la politica deve stare dalla parte del cervello vuoto, non dell’ego pieno.
È da lì che si rinasce.
Con mente aperta. E connessione attiva.

Nuovo ospedale Monopoli-Fasano, Amati: “Avviati i lavori per la realizzazione delle strade. Almeno la prima strada pronta per luglio”

Comunicato stampa del consigliere e assessore regionale Fabiano Amati.

“Sono stati avviati i lavori di realizzazione della prima strada di accesso al nuovo ospedale Monopoli-Fasano. Nel programma dei lavori si prevede di completare entro luglio l’ampliamento della strada d’accesso all’ingresso principale (vedi foto) così da consentire l’avvio dell’attività ospedaliera, per poi realizzare l’ampliamento dell’ulteriore strada d’accesso al Pronto soccorso e l’ampliamento della strada di collegamento tra l’una e l’altra.
I lavori di realizzazione del sistema di viabilità sono stati aggiudicati alla Doronzo infrastrutture s.r.l. di Barletta, con un ribasso del 24,50% e per un importo contrattuale di euro 7.314.778,02 (di cui euro 5.916.642,91 per lavori, euro 1.218.475,05 per costi della manodopera ed euro 179.660,06 per oneri relativi alla sicurezza), oltre IVA come per legge.
Le risorse utilizzate per la realizzazione del sistema viario, sono state finanziate con il bilancio autonomo della Regione”.

La strada al centro dei primi interventi di ampliamento

“Colon al sicuro”, avviato progetto per diagnosi precoce contro tumore

Nasce per diagnosticare precocemente il tumore al colon con un semplice esame del sangue

È stato avviato venerdì scorso all’ospedale Di Venere di Bari, con i primi tre pazienti, il progetto di ricerca “Colon al sicuro”, approvato dal Consiglio regionale nel luglio del 2023 e con uno stanziamento di 400 mila euro.
Il progetto è aperto a 2.000 pazienti con prescrizione di colonscopia, arruolati su base volontaria, ai quali è effettuato un prelievo di sangue da analizzare e da comparare con gli esiti della colonscopia, così da verificare la precisione diagnostica.
L’obiettivo del progetto, in altre parole, è poter avere al più presto la diagnosi tempestiva di tumore al colon attraverso un semplice esame del sangue.
Dobbiamo prevenire con tutto ciò che possiamo gli effetti mortali di questo tumore, tra i maggiori killer. E per farlo è opportuno sperimentare l’efficacia di un test di primo livello più immediato e specifico, come quello attraverso un prelievo di sangue, superando quello più complicato e aspecifico del sangue occulto nelle feci.
La mia gratitudine ad Alessandro Azzarone e Marcello Chieppa, rispettivamente direttore dell’Endoscopia digestiva del Di Venere e docente di Patologia generale all’Università del Salento.

DETTAGLI DEL PROGETTO

L’ipotesi della ricerca attiene all’utilizzo del sangue per individuare e validare un pannello di biomarcatori associati alla presenza di lesioni pre-cancerose o cancerose nel colon.
Il progetto di ricerca, quindi, potrebbe rilevarsi idoneo a determinare, ove concluso con successo e secondo tutte le regole della sperimentazione, anche la sostituzione del test di primo livello sul sangue occulto nelle feci (SOF), così da assicurare una maggiore precisione nell’eleggibilità al più complesso approfondimento diagnostico a mezzo di colonscopia. Il test SOF, infatti, ha caratteristiche aspecifiche, ben potendo registrare un esito positivo causato da motivazioni benigne e quindi diverse dalle lesioni cancerose.
Nel dettaglio. Il progetto di ricerca, chiamato “Colon al sicuro” propone la valutazione del profilo metabolomico e lipidomico ottenuto dal siero dei pazienti risultati positivi al test SOF ed eleggibili per lo screening endoscopico, nonché la valutazione dei fattori di stili di vita che possono determinare un aumentato rischio di sviluppare neoplasia colorettale.
Prima dell’esame, personale specializzato registra peso, altezza, circonferenza e forza del muscolo dell’avambraccio, e propone alcuni questionari validati per valutare lo stile di vita del paziente per quanto riguarda le abitudini alimentari, il livello di attività fisica e l’abitudine al fumo.
Durante la preparazione del paziente per l’esame endoscopico, un campione di siero pari a 2 ml viene prelevato e conservato a -20°C in una biobanca dedicata. Gruppi di circa 200 campioni alla volta saranno spediti presso i laboratori specializzati per essere analizzati con analisi multi-omiche (metabolomica e lipidomica).
I risultati delle analisi -omiche saranno analizzati in forma semi-anonima (codice alfanumerico) e confrontati con i risultati oggettivi ottenuti dall’analisi endoscopica per individuare eventuali correlazioni tra i profili-omici e fattori di stile di vita dei pazienti con la presenza di lesioni pre-cancerose.
L’obiettivo principale del progetto è individuare e validare un pannello di biomarcatori associati alla presenza di lesioni pre-cancerose o cancerose nel colon. Il successo del progetto permetterebbe di individuare precocemente i soggetti a rischio ed intervenire tempestivamente prima che le lesioni rappresentino un rischio per la vita dei pazienti.
In Italia i tumori del colon retto sono un rilevante problema sanitario e si collocano al terzo posto per incidenza tra gli uomini, al secondo tra le donne. In entrambi i sessi, l’incidenza è aumentata tra la metà degli anni Ottanta e gli anni Novanta, seguita da una lieve riduzione della mortalità. Riguardo alla distribuzione, l’Italia è in linea con la media europea: 49% per gli uomini e 51% per le donne. Lo screening dei carcinomi colorettali (CCR) mira a identificare precocemente le forme tumorali invasive, ma anche a individuare e rimuovere possibili precursori.
Le modalità esecutive dello screening del CCR in Puglia prevede l’invio di un invito a recarsi alla farmacia di riferimento territoriale per ritirare il kit per l’esecuzione della ricerca del SOF e quindi riconsegnare alla stessa farmacia la provetta adeguatamente utilizzata. Il soggetto SOF è successivamente contattato telefonicamente ed invitato ad eseguire, se idoneo, la colonscopia come esame di approfondimento di II livello con l’obiettivo di evidenziare l’eventuale presenza di polipi o lesioni tumorali nell’intestino e rendere possibile la prevenzione e/o una più efficace e tempestiva cura.
L’obbiettivo della ricerca proposta è individuare uno o più biomarcatori che si correlino con la presenza di formazioni precancerose o con la diagnosi di lesioni neoplastiche avanzate. Un tale auspicabile riscontro permetterebbe di avere a disposizione indagini non invasive con una alta sensibilità e specificità e quindi in grado di meglio selezionare il target della popolazione da sottoporre a colonscopia. Ciò contribuirebbe ad ottenere una maggiore appropriatezza prescrittiva endoscopica non solo nei programmi di screening, ma anche nelle prescrizioni ambulatoriali con conseguente abbattimento delle liste d’attesa ed indubbio vantaggio anche economico.
Inoltre, il progetto prevede la valutazione di numerosi parametri legati allo stile di vita (abitudini alimentari, livello di attività fisica, abitudine al fumo), in modo da evidenziare eventuali fattori di rischio e/o fattori confondenti che possono determinare poi falsi positivi/negativi nelle analisi lipidomiche e metabolomiche.”

“Ma l’abuso d’ufficio è di fatto già abolito”

Presidente Fabiano Amati lei ha dichiarato che, di fatto, reato di abuso d’ufficio è già stato abrogato. Cosa intende va?

Quel tipo di reato, nella realtà, è difficile da ravvisare in una condotta specifica ed è questo il motivo per il quale la maggior parte delle sentenze per abuso d’ufficio sono di assoluzione. Quindi, alla fine, si può dire che quel reato non esiste nell’ordinamento giuridico. Quello che è da abrogare è, di fatto, la strumentalità del reato di abuso d’ufficio per poter aprire una in dagine, nel tentativo di cercare altro.

Una sorta di metaforico grimaldello?

Si tratta di una fattispecie che viene usata in termini strumentali ed è un reato difficile da riscontrare nella realtà e quindi non esiste più.

Per quale ragione?

Perché il testo attualmente vigente, salvo che non siamo di fronte a un idiota, non è quasi mai riscontrabile perché chiede, tra le tante cose. la doppia ingiustizia ovvero la condotta deve essere contraria a legge ma anche l’evento deve essere contrario all’ordinamento inteso in senso oggettivo. Vuol dire che quella cosa che stai tentando di raggiungere con quel reato, non viene ammessa dall’ordinamento, ma viene respinta.

Faccia un esempio.

La destinazione di un immobile è stata data come residenziale: l’ordinamento, oggettivamente inteso, esclude le destinazioni residenziali? No. Quindi, l’evento non è in giusto e quindi non c’è reato. Inoltre, chiede il vantaggio patrimoniale che non è il potenziale economico di quella decisione, ma il vantaggio patrimoniale è il vantaggio immediato, percepibile, concreto. E poi, inoltre, viene chiesto che debba essere intenzionale. Si tratta di cose che non esistono nella realtà, è difficilissimo. È tutta una polemica strumentale.

Lei ha definito l’abuso d’ufficio un reato spione. Che cosa vuol dire?

Qualcuno lo definisce un reato spia, sono reati indicatori, però quello, in realtà, è un reato spione perché il reato indicatore significa che un reato c’è già, è piccolo ma c’è già. Per esempio, per la violenza di genere c’è una serie di micro reati come le lesioni e le percosse. Quello è un reato spia. In questo caso, invece, è un reato spione, perché il reato, come abbiamo detto, non esiste, nella realtà è proprio difficile che esista. Quindi si rivela non un reato spia, ma uno spione, un grimaldello.

Faccia un altro esempio.

Se è arrivato un esposto da parte di un cittadino perché ha in antipatia il sindaco oppure il di rigente dell’ufficio tecnico, viene aperto il procedimento, dicendo abuso d’ufficio, sapendo che, naturalmente, si approderà a niente, nella speranza che l’indagine riesca a suscitare, per inciampo, ulteriori elementi che ti portino ad andare su altre ipotesi, ma questo viola il diritto penale della libertà.

Quali sono le conseguenze?

La paura di agire da parte degli amministratori pubblici e dei dirigenti, per cui nessuno fa più niente. Basti pensare all’edilizia. Basta sentire che c’è stata l’impugnazione, alla Corte costituzionale, di una legge regionale, che nessun dirigente dei Comuni de termina più le pratiche edilizie, per paura che magari qualcuno presenti un esposto, dicendo e tant’è che è stato impugnato e su quell’esposto si costruisce un’in dagine preliminare che poi ti tiene a bruciare a fuoco lento per sei anni e chi se ne importa se poi si finisce con un’assoluzione, tant’è che, puntualmente, la maggior par te viene assolta. Questa è la questione. Dobbiamo avere il coraggio di dire che quel reato, di fatto, già non esiste.

La storia di Melissa e i bimbi con la Sma

Come è nato l’iter. Puglia come USA e GB.

Presidente Amati, lei è stato il primo firmatario della proposta di legge sul genoma, approvata martedì scorso in Consiglio regionale, dopo una lunga battaglia e con tanto impegno. Adesso cosa succede?

«Adesso cominciamo con tremila bambini, ma il nostro obiettivo è renderlo obbligatorio per tutti i neonati, salvo rinuncia. Lo scopo di questo test è stabilire, con il prelievo di un’unica goccia di sangue, se per caso ci sia un’esposizione al rischio percirca 200 malattie».

Perché questo numero?

«Perché quelle sono le malattie per le quali si possiede una terapia, per curare o per allungare la storia naturale della malattia»

Cosa comporta saperlo in anticipo?

«Vuol dire salvare la vita o allungare la storia naturale della malattia. Questo è lo scopo di questo progetto di ricerca. Allo stato, mi risulta che stiano compiendo progetti di ricerca di questo genere soltanto a New York e in Gran Bretagna»,

Questo vuol dire che, adesso che è stata approvata la legge, in Puglia saremmo i terzi in tutto il mondo?

«Da quello che mi risulta sì, ma potrebbe anche essere che vi sia qualche altro Paese».

Materialmente da quando sarà possibile per le famiglie pugliesi accedere alla
sperimentazione?

«Appena entrerà in vigore la legge, il direttore del laboratorio di Genomica dell’ospedale Di Venere di Bari, che è il laboratorio incaricato di questo progetto, dovrà predisporre un protocollo
operativo, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore, poi si coqmincerà».

Quale sarà la durata del progetto?

«Un anno, però lo vogliamo estendere nei prossimi anni, anche dando maggiori dotazioni finanziarie. Questo è l’intendimento del Consiglio regionale».

Qual è il costo di questo primo anno di sperimentazione?

«Abbiamo stanziato un milione di euro».

L’approvazione della legge sul genoma è avvenuta lo scorso 14 marzo, nel corso di una seduta del Consiglio regionale particolarmente turbolenta dal punto di vista politico. Una seduta a tratti anche molto dura e difficile. Ritiene che essere riusciti a trovare l’intesa per dare il via libera a questo provvedimento abbia dato una sorta di valore aggiunto a quella giornata?

«Sì, perché, se non avessimo approvato quella legge, le cronache avrebbero detto di quella seduta del Consiglio regionale che avevamo discusso di un provvedimento per aumentare le poltrone dell’ufficio di Difesa civica che, secondo me, non serve a molto. Poi avrebbero detto che ci eravamo occupati della questione del segretario d’aula, il cui significato all’interno della lotta politica è noto solo al governatore Michele Emiliano, i comuni cittadini sanno che è una funzione di garanzia del Consiglio e
basta. Se non avessimo approvato quella legge, la cronaca di quella seduta sarebbe stata solo questa».


Umanamente, dopo l’approvazione, qual è il suo stato d’animo?

«La vita, per me, a proposito di queste cose è cambiata quando ho incontrato la storia di Melissa e dei bimbi malati di sma.
In quel momento sono entrato in un mondo nuovo, la geneticamedica. Ho iniziato un percorso con il dottor Gentile e con le sue competenze, siamo riusciti a mettere su lo screening obbligatorio per la sma, poi lo screening super esteso per 58 malattie, poi il sequenziamento
dell’esoma. Sono tutte iniziative legislative approvate all’unanimità dal Consiglio regionale.
Adesso si è in grado, dall’1% del dna, di individuare l’85% delle
malattie e quindi dare una diagnosi a quei casi in cui non si sa cosa fare. Vedere che, fino all’an-
no scorso, un bambino affetto da sma 1, a sei mesi, già non era più‘un bambino, non muoveva il capo, le braccia, le gambe e invece ora vedere i primi tre bimbi, sui quali è stata fatta una diagnosi
tempestiva, che non hanno alcun sintomo della malattia, ha un grande significato per me».

Quale?

«Se la mia vita politica dovesse finire qui, avrei già fatto tantissime cose. Aver concorso a salvare la vita di bambini, in una intera vita politica, basta ed è meraviglioso»

Dottor Mattia Gentile, direttore del laboratorio di Genetica medica dell’ospedale «Di Venere» di Bari, dopo l’approvazione della legge sul genoma in Consiglio regionale, quale messaggio vuole dare ai futuri genitori dei bambini pugliesi?


«Dopo l’approvazione della legge, è importante passare alla stesura di un protocollo d’intesa in
cui coinvolgere le Neonatologie, perché questo è un progetto di ricerca; l’analisi non viene fatta automaticamente, ma c’è un consenso e un’informativa che le famiglie devono necessariamente
condividere come per qualsiasi progetto di ricerca».

Qual è l’obiettivo di questo progetto?

«Metterci nelle condizioni tecniche di poter poi fare il passo successivo come sta succedendo in Inghilterra e negli Usa, perché lì, tra ottobre e dicembre, sono partiti due grossi programmi sui 200mila e 400mila neonati»,

Quali sono i punti principali di questa sperimentazione?

«Le cose da sottolineare sono diverse: in primis si tratta di un progetto di ricerca e, quindi, come detto, le famiglie devono essere direttamente coinvolte. È diverso dallo screening tradizionale dove c’è la strategia “l’optout”, ovvero deve essere la coppia a specificare che non vuole farlo. Qui, invece, c’è “l’optin” cioé bisogna specificare se si voglia farlo. La sperimentazione può consentire lo screening simultaneo di centinaia di malattie ed è importante per quelle per le quali è necessario un inquadramento diagnostico precoce; il nostro obiettivo è che, con uno screening alla nascita, si possano individuare queste malattie in tempi precocissimi. Il numero delle malattie è provvisorio, perché, nel momento in cui altre malattie sono ritenute meritevoli di attenzione precoce, saranno automaticamente incluse. Nel giro di tempi, che oggi non possiamo prevedere ma che saranno brevi, noi avremo parametri di affidabilità e di costi per cui lo screening metabolico che si fa
adesso non si farà praticamente più. Si farà uno screening genetico che con una sola indagine.”

Pd Puglia, è già scontro sul congresso tra richiesta di primarie e «rifondazione»

BARI. L’iter congressuale del Pd è appena avviato ma in Puglia si iniziano a affilare le armi per un confronto interno che riguarderà non solo la nuova dimensione politica ma anche il rapporto tra partito e amministrazione regionale di Michele Emiliano. Dopo la decadenza degli organismi collegiali, allo stato, i dem hanno in carica solo il segretario regionale Marco Lacarra, che non si ricandiderà alla guida del partito pugliese. 

Tra i falchi per un vero cambio di passo c’è Fabiano Amati, consigliere regionale Pd: «Qui – spiega – più che un congresso, c’è da riavviare il Pd, che non c’è mai stato. Dopo le elezioni i seguaci di Emiliano hanno preso quello che c’era da prendere e nessuno li ha più sentiti. C’è quindi da “fare il Pd”, sperando di farlo con primarie aperte e evitando che al capezzale del malato si metta la malattia». Fuori di metafora: «Chi ha fatto ammalare il Pd, cioè Emiliano e i suoi, da Boccia a Lacarra, in queste ore ha buone ricette per salvare il partito, dopo averlo affondato. Parlano a Roma, in tv…». 

Sul piano pratico cosa c’è da fare? «Bisogna rapidamente attivare le primarie aperte – argomenta Amati – per poter salvare il Pd, tenendolo sulla strada del suo gruppo consiliare che ha deciso, a dispetto del governatore, sull’Arpal, che si occupa delle malattie genetiche, che si occupa del Piano casa e si impegna per offrire ai pugliesi più screening sui tumori». L’effetto delle primarie per Amati «aiuterà a commissariare la Regione di Michele Emiliano Emiliano, per “fare” le cose. 

Aspettiamo la riunione sui dieci punti proposti in vista del chiarimento tra il gruppo dem e la presidenza regionale». «Dobbiamo ancora riunirci per discutere delle ragioni della sconfitta alle politiche, dal momento che non c’è stata alcuna riunione post-elettorale. Come nel film di Woody Allen “Prendi i soldi e scappa”, prese candidature e seggi sono spariti…», conclude il presidente della Commissione Bilancio. Michele Mazzarano, consigliere regionale del Pd, offre questa lettura: «Un congresso costituente deve riguardare l’intero paese, e anche tutte le articolazioni territoriali, compresa quella regionale. Non si può lasciare le cose invariate nella regione e nelle province. La discussione deve riguardare anche la tanta sinistra diffusa rimasta a rasa, lontana dalla militanza e dalla partecipazione politica. 

L’intento che si vela dietro il percorso annunciato da Enrico Letta è questo. Va ora interpretato anche a livello locale». «Ci sarà bisogno – puntualizza il consigliere di Massafra – di una fase di profonda discussione sul futuro della sinistra, non limitandoci ad immaginare che i nostri problemi si risolvano apparecchiando qualche banchetto delle primarie (stoccata ad Amati, ndr). 11 Pd al momento è rappresentante di una parte residuale della società e non parla alla parte subalterna e più fragile del paese». Poi un appello ad allargare la partecipazione alla sfida congressuale: «Chi ha qualche responsabilità a livello regionale e locale – attacca Mazzarano – deve fare in modo che ci sia una discussione aperta alle associazioni, ad Articolo Uno, a pezzi del sindacato che non si sono sentiti rappresentati, o ai cittadini che per le involuzioni del partito hanno smesso di dare il proprio contributo. 

Non bastano le primarie di marzo, o la conta su singoli nomi». «La segreteria regionale della Puglia? Se si fa un congresso nazionale su un manifesto e una fase costituente, ci devono essere – chiarisce in merito alla prossima contesa tutta pugliese per il post Lacarra – profili corrispondenti a questo percorso. Bisogna evitare di mettere in campo candidature frutto del bilancio dei rapporti tra le personalità del Pd, come nell’ultima fase. Ci vuole chi avvii una nuova storia. Dobbiamo rifondare il Pd. Bisogna immaginare che una parte della storia del Pd è finita il 25 settembre. 

Ci vuole una rifondazione profonda, anche con cambio del simbolo e del nome. Letta non ha presentato il percorso di un congresso normale, ma di un congresso costituente, per aprire porte e finestre delle nostre anguste stanze a persone, gruppi e realtà finora non iscritti al Pd». «Emiliano e Decaro in questa fase? Saranno padri nobili che favoriranno questa fase. 

Sono convinto che dovendo costruire anche una opposizione nelle istituzioni e nella società al governo delle destre, ci vorranno figure istituzionali che difendano il Mezzogiorno davanti al ministro Calderoli e al progetto scellerato di autonomia differenziata», conclude Mazzarano.

 

L’intervento – Il piano casa sotto assedio dei profeti di sventura

Sul Piano casa siamo assediati da decine di profeti di sventura, impegnati a parlare senza attendere le sentenze, a travisare quelle che ci sono e senza mai fare una proposta concreta, realistica e immediata per la crescita, lo sviluppo e senza il “benaltro” impostato come sole dell’avvenire. Ecco perché il Paese stenta, sballottolato tra ideologie, falsificazioni e post-verità, e perciò portato lontano dalla vita di ogni giorno delle persone. 

Sedi questo argomento si evitasse di parlare dall’alto di stipendi o pensioni pubbliche, forse si riuscirebbe ad immedesimarsi nella condizione più dolorosa di chi produce per il Paese, rispettando ambiente e legalità, e versa in tasse ciò che serve per pagare proprio quegli stipendi e quelle pensioni. Sull’impugnazione della legge sul Piano casa da parte del Governo nazionale sento dire cose incredibili. La più grossa è quella dell’impugnativa perché il Piano casa avrebbe consentito interventi in violazione del Piano paesaggistico. Ma diciamo sul serio? E quando mai? Tutti gli interventi del Piano casa possono essere realizzati solo se rispettosi delle prescrizioni, linee guida e direttive del Piano paesaggistico. E ciò è scritto nero su bianco. Non c’è possibilità di sbagliarsi. Il Ministero eccepisce, invece, sul fatto che la delibera del Consiglio comunale d’individuazione degli ambiti ove realizzare gli interventi non debba essere condivisa con il Ministero, ossia le famosissime ed efficientissime (sic!) Soprintendenze, con l’effetto di annullare il potere di scelta dei Comuni. 

Ora, per quanto si possa argomentare, questa auto-attribuzione di potere non è prevista da nessuna legge statale e si rivela una pretesa assurda, diretta a realizzare la morte del Piano casa e ad affamare un grande comparto produttivo. Sul punto, peraltro, e di recente intervenuta una sentenza della Corte costituzionale, la 192 del 2022, con cui è stato sancito il principio elementare, estraneo ai profeti di sventura, che ogni intervento del Piano casa può solo soggiacere alle prescrizioni, direttive e linee guida del Piano paesaggistico e non alle misteriose elucubrazioni ministeriali. 

Ma i profeti di sventura parlano pure a vanvera: dicono di aver avvertito per tempo sui rischi d’impugnativa, ma non si capisce dove, come, quando e soprattutto con quale proposta concreta e alternativa; dicono della virtù di proposte assessorili, modificate però all’unanimità dal Consiglio regionale, senza aggiungere che tali proposte rendevano inservibile il Piano casa ed erano contrastate dagli ordini professionali, dalle associazioni di categoria e dai comuni; dicono di Piani urbanistici generali ma non delle lungaggini per adottarli. con procedimenti demandati strumentalmente a conferenze di servizi che non si concludono mai. 

E anche su questo, ovviamente, nemmeno una parola sul fatto che ho depositato una proposta di legge ifi proprio per semplificare l’adozione di Piani urbanistici e che quando il Consiglio regionale ha approvato un’altra mia proposta per attuare per legge una parte del Piano paesaggistico, la stessa compagnia di profeti di sventura ha urlato il suo “urrà” alla notizia dell’impugnazione, per poi retrocedere in un imbarazzato silenzio quando la Corte costituzionale ha rigettato il ricorso. Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Dobbiamo solo combattere per sconfiggere quello che Franco Cassano chiamò narcisismo etico. 

È anche questo il nostro compito e la nostra missione. 

Articolo pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia del 27 ottobre 2022

Sull’alimentare speriamo che le parole siano anche idee

Sovranità alimentare. 

Che cos’è? E la vittoria del made in Italy? Magari! O è il trionfo della dipendenza alimentare? Probabile! Fuori dalle ipotesi, fatto sta che sul concetto di sovranità alimentare c’è un’evidente traccia politica; un’alleanza tra radicalismi elitari e nostalgici, per promuovere il cibo prodotto come-si-faceva-una-volta. Un’idea di organizzazione agricola, certamente benintenzionata, finalizzata a una produzione limitata al necessario, sentendo agricoltori e consumatori, e utilizzando semi prodotti con metodi tradizionali e coltivati localmente. Peccato si tratti di una illusione, peraltro non molto pia, incompatibile con le necessità alimentari del mondo, costosissima, e quindi in grado di escludere dal diritto al cibo la stragrande maggioranza delle persone, soprattutto le più povere e bisognose d’uguaglianza. In realtà avremmo bisogno di un grande sovranismo produttivo, inteso senza nostalgie e per metterci al passo con gli altri Paesi del mondo. Un programma, cioè, di indipendenza italiana nelle produzioni agricole, per ridurre le imponenti importazioni di prodotti che invece vietiamo di coltivare, per via di un atteggiamento antiscientifico e meramente ideologico. E questo significherebbe, evidentemente, la fine dell’irragionevole embargo e sabotaggio sui semi OGM e da genoma editing. Un ostracismo che ha avuto esiti paradossali: vietare od ostacolare la coltivazione di produzioni innocue per la salute che invece importiamo e consumiamo in grandi quantità. 

Ben prima dell’aumento dei costi causato dalla guerra, abbiamo importato soia e mais ogm per una spesa di 2,3 miliardi di euro, quasi pareggiando le esportazioni per i nostri prodotti DOC e IGP. Uno scambio, simile a un disastro, e tanti saluti alla competitività del settore. La nostra bilancia agroalimentare resta in piedi solo grazie alle esportazioni di vino ma, anche qui, rischiamo di farci superare dalle produzioni che fanno ricorso al genoma editing, migliorando la resistenza delle viti, evitando numerosi spargimenti di solfato di rame e producendo un’uva di miglior qualità sanitaria e ambientale. 

E poi il grano. Nella Puglia patria della ricerca e dell’ingegno cerealicolo del CREA di Foggia, non riusciamo a mandare in campo i semi in grado di aumentare la resa e quindi la minore dipendenza dall’estero, sempre per i soliti ostracismi nei confronti della ricerca scientifica. Dinanzi a questo scenario, la scelta per una disillusa sovranità alimentare porterebbe a un tris di veri benefici: ridurre le imponenti importazioni, aumentare la resa e selezionare le migliori varietà. Se sovranità alimentare significasse questo, tanto di cappello. 

Era ora. Temo però che non stia andando così e che il nuovo nome del ministero ha creato una strana alleanza rosso-bruna, occultando un intento di propaganda se non d’incompetenza. E già lo si nota dai primi commenti, fatti di rispettosi e reciproci complimenti tra conservatorismi di destra e sinistra; un sodalizio tra estremi che si attraggono per ideologia e penalizzano il nostro Paese al suono falsamente dolce, romantico e nostalgico dei bei tempi andati. Il programma di riproporre, addirittura sulla carta intestata del Ministero, divieti e vincoli per pratiche agronomiche invece democratiche, popolari e fondate sui magnifici effetti della libertà di ricerca e innovazione, è ciò che emerge a prima vista. E tutto questo per far avanzare un disegno politico contro la realtà e col rischio di finire per favorire addirittura pratiche magiche e superstiziose, come la biodinamica, importata allegramente, altro che sovranismo, da un organismo di certificazione tedesco. Tale Demeter. Quello stesso che nella scorsa legislatura stava ottenendo addirittura valore di legge, se solo il presidente Mattarella non avesse deciso di bloccare il voto finale della Camera accogliendo l’appello della senatrice Elena Cattaneo e del premio Nobel Giorgio Parisi. Sovranità alimentare? 

Boh! Ciò che va bene o male dipende dalle parole solo se queste si accordano con ragione. E sempre un fatto di testa. Da tenere a posto.

 

Articolo pubblicato su Gazzetta del Mezzogiorno del 27 ottobre 2022

Il sì alla compensazioni sul gas non è da bulli del diritto

 

La legge sugli sconti nella bolletta del gas tramite una compensazione del 3% sul gasdotto Tap deriva da una legge dello Stato.

Esattamente, la legge Marzano. Qualcuno – come Giuseppe Coco sul Corriere del Mezzogiorno di ieri – dice che non si può fare. Bene. Ma se non si può fare, potremmo sapere a cosa serve la legge Marzano? In altre parole: se quella legge non serve a stabilire compensazioni, a cosa servirebbe? Ogni legge deve avere il suo senso e l’interpretazione più sensata. Pure i quadri, che stanno immobili, hanno sempre da suggerire idee e far muovere pensieri nuovi. Figurarsi una legge, che ha il compito di vivere accompagnando i continui movimenti del mondo. 

Certo, sappiamo pure noi di correre qualche rischio. C’è il rischio di entrare in conflitto con il governo nazionale e pure con le imprese. Non l’abbiamo mai nascosto. Ma non saremmo stati amministratori pubblici calati nella realtà, se in queste ore non ci fossimo posti il problema delle bollette del gas e delle possibilità legali per scontarle. Abbiamo ripescato la legge Marzano, plenamente vigente, e stiamo provando ad applicarla per come abbiamo ritenuto di leggerla e interpretarla, mettendoci in gioco con una decisione politica. 

E la nostra una lettura sbagliata? Forse. Ma possiamo sapere dai commentatori quale sarebbe la lettura corretta e alternativa della legge Marzano? Resto in attesa di risposta. Non escludo la possibilità di vedersi eccepire qualcosa sulla percentuale della compensazione o sulle modalità di portarla in sconto in bolletta. Oppure di sentire la critica sul tentativo di far pagare a tutti gli italiani gli “egoismi” dei pugliesi. Ma è la norma nazionale a dire questo, abilitando le Regioni a chiedere compensazioni proprio per riequilibrare su tutto il territorio nazionale la concentrazione di infrastrutture energetiche. Le compensazioni non possono essere chieste da qualunque Regione e per qualsiasi infrastruttura. La nostra decisione non è dunque un fatto arbitrario, da bulli del diritto. Le controindicazioni ci sono, come tutto nella vita. Staremo a vedere, aggiungendo che proprio per questo abbiamo chiesto al governo nazionale di guardare al provvedimento con lo spirito della collaborazione e non con quello della giuria o del commentatore. 

Noi, la Regione Puglia, e il governo, siamo sulla stessa barca. Mi duole ancora molto, lo confesso, la solitudine dolorosa vissuta ai tempi dell’idea Tap. Di mio sì, convinto, segnalando inoltre la necessità del gasdotto per assicurarci prosperità, sicurezza ambientale e pure pace, era sbeffeggiato e assalito da squadrismo verbale alimentato nelle piazze e sui social. Ah, se avessimo detto sì all’epoca avremmo ottenuto compensazioni molto più vantaggiose del g 96 che reclamiamo oggi. Ma quei momenti fui costretto a viverli in quasi solitudine, senza il conforto dei commentatori che sbucano solo quando spiove, come le lumache, per dire ciò che è giusto e ingiusto. 

E forse è meglio così. Molti non sanno, eppure commentano, che la Puglia paga alla Basilicata e nei prossimi anni alla Campania, le compensazioni ambientali per l’acqua. E tutto questo lo facciamo per evitarci di morire di sete. Paghiamo le compensazioni ambientali nonostante il profilo idrologico del meridione d’Italia non sia organizzato nel rispetto dei confini amministrativi. La natura se ne frega dei nostri confini. Anzi, si potrebbe dire tranquillamente che senza la condizione sitibonda della Puglia difficilmente potrebbero esserci le sorgenti in Basilicata e Campania. Tuttavia paghiamo le compensazioni. Siamo vittime di signorotti medievali, soggiogati dagli esattori per ogni passaggio di carro come nella scena dell’immortale «non ci resta che piangere»? Non penso. Siamo in un Paese, situato nell’Europa, con le sue leggi da applicare o da modificare. 

E nell’applicazione della legge dobbiamo pensare alle persone travolte dal caro-bollette. Potevamo rispondere a questa esigenza da menefreghisti signorotti medievali? No, non ce la siamo sentita di rispondere alla richiesta di pane consigliando, come Maria Antonietta, di mangiare brioche. Abbiamo fatto ciò che abbiamo potuto, guardando il mondo dalla prospettiva di chi ci ha mandato a governare, con tutti i rischi che questo comporta. Chi ci ha mandato a governare; soprattutto quelli con maggiore difficoltà. Perché in fondo quando si discute di queste cose è sempre un problema di prospettiva. 

E d’immedesimazione. 

Articolo pubblicato su Corriere del Mezzogiorno del 21 ottobre 2022