È il mercato l’antidoto a dazi e sovranismo

È il mercato l’antidoto a dazi e sovranismo

Quando i politici perdono il senno e la democrazia vacilla, l’economia di mercato – fredda, impersonale, ma implacabilmente razionale – resta spesso l’ultimo argine contro il disordine e l’insensatezza. Non sarà il massimo della poesia, ma ha il pregio di dire la verità in tempi di delirio.
Nel mondo agitato dalle derive sovraniste e nazionaliste, dai dazi che dividono, dai muri che chiudono e dalle parole d’ordine gridate senza idee né pensieri, sorge una domanda: chi può fermare la corsa verso l’insensatezza, senza dover attendere il meccanismo lento delle urne? La risposta è semplice, spiazzante e implacabile: l’economia di mercato.
Sta accadendo con Donald Trump, idolatrato fino al momento in cui le borse – molto meno sentimentali degli elettori – hanno cominciato a stropicciarsi gli occhi. A quel punto, anche da questa parte dell’Atlantico, qualcuno ha iniziato a fare i conti con l’imbarazzo del guardaroba: dopo aver provato a indossare l’abito buono del patriottismo trumpiano, Giorgia Meloni si ritrova oggi a spiegare ai suoi patrioti che nel patriottismo, come nei saldi, c’è sempre qualcuno più svelto di te a prendersi la tua vetrina e a svuotare le tasche dei tuoi sostenitori.
Accadde con Silvio Berlusconi, quando i mercati, con l’impassibilità crudele degli spread, decretarono la fine di un’epoca, aprendo la strada al Governo Monti. Non fu un voto a detronizzarlo né la dissoluzione della sua maggioranza, ma il giudizio silenzioso e tagliente di chi compra e vende titoli di Stato. Il tutto senza bisogno di conferenze stampa.
E allora diciamolo con chiarezza: la democrazia e l’economia di mercato non sono in conflitto, come vuol far credere l’alleanza tra finti progressisti e veri reazionari. Sono, piuttosto, due facce della stessa medaglia. L’una presuppone l’altra, la sostiene, la limita, la rafforza. Dove manca la libertà economica, anche quella politica si inaridisce. Dove non c’è pluralismo produttivo, anche quello delle idee si spegne. E in assenza di concorrenza, tutto si appiattisce, compresi prezzi e pensieri.
Questo non significa santificare il mercato, perché nelle cose della vita non c’è nulla di profondamente sacro oltre il Sacro, ma riconoscerne il ruolo di sentinella. Quando la politica impazzisce, il mercato si ribella. Non per moralismo, ma per istinto di sopravvivenza. E tuttavia, in quel calcolo c’è una forma rozza ma reale di razionalità collettiva. È come il vento nel deserto: non lo vedi, ma appena comincia ad alzarsi un po’ di sabbia capisci subito l’arrivo prossimo della tempesta.
Da qui una seconda domanda, ancora più urgente: può davvero dirsi democratico, nel profondo, chi lotta contro l’economia di mercato, agitando disuguaglianze che sarebbero invece ben più gravi con sistemi a maggiore controllo statale? Può esserlo chi sogna modelli chiusi, autocentrici, “decrescite felici” che somigliano più a una lapide sulla tomba che a un programma politico? La risposta, se si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà, è no. Non si dà democrazia senza mercato. Non si dà pluralismo senza concorrenza. Non si dà libertà senza possibilità.
Un sincero democratico, privo di ideologismi, di utopie vintage e di retoriche illusorie, non combatte il mercato. Lo regola, sempre con l’impronta della libertà, per non farne un giardino esclusivo ma nemmeno un campo abbandonato. Sa che il mercato può essere nel brevissimo termine iniquo, correggendo per questo e con parsimonia qualche effetto, ma sa anche che ogni alternativa ha sempre prodotto meno giustizia e meno libertà. E non si fa incantare da chi, per combattere il “mercato”, finisce per barattare la libertà con l’uguale infelicità.
Nel tempo dei sovranismi velleitari, l’economia di mercato resta una forma di ragione. E spesso, l’ultima trincea della democrazia. Bisognerebbe ricordarselo prima di scagliare l’ennesimo anatema contro “il mercato”. Perché a volte è proprio lui, con i suoi freddi numeri, a dire ciò che i politici non osano neanche pensare. «E se questi taceranno, grideranno le pietre»? (Lc 19,40). Sì. Nel nostro caso, quelle pietre si chiamano spread, deficit, disoccupazione.
Fabiano Amati

Articolo Gazzetta 19 apr 2025

Vietato vietare l’intelligenza artificiale a scuola

di FABIANO AMATI

dal Corriere del Mezzogiorno del 11 aprile 2025

Vietato vietare l’intelligenza artificiale a scuola

Il divieto di usare l’intelligenza artificiale a scuola non è un atto educativo. È un istinto.
Un riflesso condizionato, come quello di chi chiude gli occhi davanti a una luce troppo intensa. Solo che qui la luce è quella del futuro. E a chiuderli, come spesso accade, sono gli adulti.

Non c’è pedagogia nel proibizionismo digitale: c’è solo paura. Paura di perdere il controllo, del confronto, del ribaltamento gerarchico: il docente che inciampa, l’alunno che vola.
E allora via coi divieti, come se bastasse spegnere il router per bloccare una rivoluzione epocale.
Ma lo sappiamo: i divieti non arrestano la realtà. La clandestinizzano. E spesso la esaltano.

Così nasce una scuola schizofrenica: si chiede spirito critico, ma si proibisce lo strumento che oggi più di ogni altro potrebbe esercitarlo. Si parla di futuro, ma si ragiona con l’eco del passato.

Il problema vero non è (solo) pedagogico. È generazionale.
Da un lato, studenti che usano l’intelligenza artificiale come estensione del pensiero e trovano ogni via — bravi! — per eludere i divieti. Un po’ come i predecessori con le cartucciere.
Dall’altro, docenti spesso in difficoltà a cogliere la portata della rivoluzione in corso, che reagiscono reclamando lo scudo della proibizione.

Ma vietare ciò che non si conosce è una forma passiva di censura, e insieme un modo garbato per mascherare i ritardi di adattamento.

La soluzione è semplice: non vietare l’IA agli studenti, ma imporne la conoscenza agli insegnanti.
Formazione obbligatoria, estesa, continua. Non per umiliare nessuno, ma per rimettere tutti in pari.
Non con il metro della gerarchia scolastica, ma con quello della realtà, che — nel campo dell’IA — sta già capovolgendo ogni gerarchia.

Solo così sarà possibile valutare non l’assenza dell’IA, ma la qualità del suo uso. Come si fa con qualsiasi strumento: la calcolatrice, la grammatica, il cervello.

L’autenticità del pensiero non risiede nei divieti, ma nella capacità di guidare la macchina.
Il vero discrimine oggi non è tra chi copia e chi non copia, ma tra chi sa usare l’intelligenza artificiale e chi no.

E per chi teme la sparizione della voce umana, c’è un rimedio antico e potente: ridare valore alla memoria, alla letteratura, alla prova orale.
Imparare poesie — unione semantica di “fare” e “sentire” —, allenare la mente a costruire frasi, immagini, nessi, idee.
E poi darli in pasto alla macchina, sì. Ma non per farsi sostituire: per farsi potenziare.

Chi avrà usato bene l’IA farà anche una grande interrogazione.
Perché non avrà copiato, ma costruito. Non si sarà nascosto, ma si sarà rivelato meglio.
Lo sforzo starà tutto nella capacità degli insegnanti di riconoscere l’intelligenza, anche quando è aumentata.

Un legislatore degno di questo nome non può proteggere chi rifiuta il cambiamento per paura, ma chi deve imparare per vivere nel mondo con gli strumenti della modernità.
Un Paese non muore per i giovani che non sanno, ma per gli adulti che non vogliono più imparare.
Si invecchia davvero quando si comincia a difendere il cervello già pieno, invece di onorare quello ancora da riempire.

Ecco perché la politica deve stare dalla parte del cervello vuoto, non dell’ego pieno.
È da lì che si rinasce.
Con mente aperta. E connessione attiva.

Riflessioni – IL MIRACOLO “ARTIFICIALE”: NON MORIRE DI MALATTIA

Articolo pubblicato sul Nuovo Quotidiano di Puglia del 28 marzo 2025

di Fabiano Amati.

Il tempo Costas l’aveva già condannato. Affetto da una rara malattia del sangue chiamata Sindrome di Pens, non era più idoneo né a nessuna terapia nota, né a un trapianto. I medici gli avevano lasciato due opzioni: morire a casa o morire in ospedale. Poi è accaduto qualcosa.

Il miracolo…

Un medico di Philadelphia, David Fajgenbaum, ha proposto al comitato etico una terapia mai testata prima. Il suggerimento non veniva da un’intuizione personale, ma da un algoritmo. Un’intelligenza artificiale, addestrata a combinare farmaci già esistenti, aveva identificato una combinazione di due medicinali. Non nuovi, non straordinari. Semplici. Nuova, inedita, l’idea di associarli. Poi fu decisa la somministrazione.

Oggi Costas cammina. Sorride. Vive.

Per la prima volta, la speranza non è arrivata da una nuova scoperta o da una nuova scienza: è arrivata da una nuova logica, capace di dare un nuovo senso alle scienze già esistenti. Un primo esperimento, sì. Ma un esperimento riuscito. Il test su una sola persona non è scienza, ma non è nemmeno un caso se una persona senza speranza ora sorride.

Il medico che ha proposto la terapia, David Fajgenbaum, è egli stesso sopravvissuto a una malattia considerata incurabile. Ha fondato il Centro per la riprogrammazione dei farmaci presso l’Università della Pennsylvania e oggi dirige la rete internazionale di collaborazione scientifica “Every Cure”.

Con l’aiuto di Amgen (sì, quella dei farmaci per l’osteoporosi) ha messo in piedi una task force capace di individuare nuovi utilizzi per farmaci già esistenti. In collaborazione con l’intelligenza artificiale.

Ecco cos’è il miracolo: non più un evento inspiegabile. Ma un’organizzazione del sapere che trasforma la speranza in possibilità; che trasforma la medicina in “addestratore” sapiente della macchina.

E anche la narrazione (dall’uomo solo per farsi addestrare dal più saggio) si rovescia: ora è l’uomo a usare l’intelligenza per potenziare l’intelligenza. I progetti si intrecciano, i contratti si rivedono, le vite si salvano. Con un farmaco semplice. Due pillole.

Con tutte le malattie gravi – e non solo – potremmo guadagnare tempo e vita se l’intelligenza artificiale accedesse agli archivi mondiali di ricerca e conoscenza. Potremmo trasformare ciò che oggi è “uso compassionevole” in un pezzo nuovo di scienza.

Perché in questo caso, l’intelligenza artificiale ha scoperto ciò che già c’era, ma non vedevamo più. È questo il vero miracolo, il miracolo artificiale. Ma del tutto umano.

E se davvero è possibile “non morire di malattia”, serve allora tutto l’impegno possibile per inseguire questa speranza. Serve una nuova politica della scienza. Serve una visione che metta al centro la conoscenza, il sapere, l’umiltà della scoperta. E servono scelte.

Perché il vero miracolo, oggi, è sempre più scientificamente spiegabile.

Fabiano AMATI

 

Nel gran “teatro” dell’IA l’unico posto fisso lo avrà il consumatore

da La Gazzetta del Mezzogiorno del 20 marzo 2025


di Fabiano Amati

Se “gli ultimi saranno i primi” (Matteo 20:16), allora il futuro è chiaro: il consumatore, per secoli considerato passivo, diventerà l’unico vero lavoratore. Dimenticatevi giornalisti, avvocati, notai, giudici, medici e professori: l’intelligenza artificiale farà tutto e meglio, più velocemente, senza scioperi o recriminazioni di casta. Ma niente paura: nessuno resterà senza stipendio. Semplicemente, saremo tutti pagati per fare ciò che l’umanità ha sempre sognato di fare licenziando ogni senso di colpa: leggere, viaggiare, guardare, ascoltare e, in generale, consumare. Insomma, l’economia del futuro sarà una sorta di all-you-can-eat retribuito.
Dal verbo al click: l’intelligenza artificiale sta riscrivendo la storia
Nell’inizio fu il verbo, alla fine sarà il click.
Per far funzionare l’IA serve una cosa sola: dati, centinaia e migliaia di dati. E chi glieli fornisce? Pochi manutentori del cervello artificiale, super giornalisti giuristi medici e manager, pagatissimi e privi di sentimenti o risentimenti, e noi tutti, inconsapevoli ma infaticabili addestratori. Ogni articolo letto, ogni video guardato, ogni recensione lasciata è un mattoncino che rende l’IA più intelligente. Così, mentre lei impara, noi passiamo dal ruolo di lavoratori a quello di raffinati consumatori-professionisti, pagati non per produrre, ma per scegliere, interagire e godere del prodotto finito, suggerendo alle macchine di produzione i nostri gusti, le nostre virtù e pure i nostri vizi.
I mestieri tradizionali? Destinati all’estinzione. Il giornalista sarà sostituito dal lettore di giornali, l’avvocato e il giudice dal lettore di sentenze, il medico dal paziente che consulta il referto generato dall’algoritmo, il fabbricatore di beni da un robot efficientissimo. Perché pagare qualcuno per scrivere un articolo quando il lettore stesso, nel leggere lo scritto della IA, valida, interpreta e fornisce dati?
Ma attenzione: non tutti i mestieri sono destinati a scomparire. Alcuni mestieri, essendo così antichi, sono probabilmente destinati a essere eterni. Se c’erano all’inizio della storia, continueranno a esistere fino alla fine.
I politici, per esempio, non potranno mai essere rimpiazzati: “Date a Cesare quel che è di Cesare” (Matteo 22:21) perché, alla fine, qualcuno dovrà pur decidere. L’IA potrà consigliare, suggerire, elaborare scenari complessi, ma la scelta, le regole dell’addestramento dell’IA, resterà sempre nelle mani di chi sarà scelto alle elezioni. E diciamocelo, anche l’errore è un’arte, quasi sempre di decisione, e nessuna macchina riuscirà mai a sbagliare con la stessa creatività di un essere umano, sia esse elettore o eletto.
Anche i religiosi resteranno saldi al loro posto, perché “la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio” (Giacomo 12:13) e nessuna IA potrà mai dispensare misericordia, perché la macchina sarà addestrata alla giustizia. Potrà simulare empatia, certo, ma il perdono non è un’operazione matematica e la speranza non si calcola con un algoritmo. Finché l’uomo avrà domande senza risposta, servirà qualcuno che le ascolti, senza affidarsi a un database.
E poi ci sono loro, i lavoratori del corpo: atleti, danzatori, artisti del movimento. L’intelligenza artificiale può prevedere il risultato di una partita, ma non può segnare un goal. Potrà generare la coreografia perfetta, ma non potrà danzare con l’anima. Il sudore, l’adrenalina, la fatica. Sono cose che nessuna macchina potrà mai provare.
Il mondo si sta trasformando in un gigantesco “teatro”, dove il pubblico viene pagato per assistere. Gli intellettuali del passato dicevano che il potere era nelle mani di chi possedeva i mezzi di produzione, ma nel futuro la ricchezza sarà distribuita a chi possiede il mezzo più potente di tutti, l’attenzione.
Benvenuti nella nuova era: addio alla fatica, benvenuto al piacere. Il lavoro sarà solo un lontano ricordo e l’unico sforzo richiesto sarà quello di scegliere cosa guardare.
Non c’è più scelta: il futuro ha già cliccato per noi.
Sarà davvero così? Non proprio così, ma forse più esagerato di così, perché alla creatività di un uomo non c’è limite, anche quando si mette a fare l’addestratore di macchine.

 

Diagnosi sul colon dal sangue, screening avanzato e analisi con l’IA

L’approfondimento su Gazzetta del Mezzogiorno dedicato alla diagnosi sul colon dal sangue con lo screening avanzato e il plasma conservato e analizzato tramite l’Intelligenza Artificiale.
Il progetto “Colon al sicuro” avviato dal personale del Di Venere coordinato dal dottor Alessandro Azzarone e dell’Università del Salento coordinato dal dottor Marcello Chieppa è una svolta: aumenta la probabilità di successo delle terapie, riduce le liste d’attesa e i costi a carico del servizio sanitario regionale. Un’esperienza da estendere e moltiplicare per salvare la vita. Lo raccontano i protagonisti di questo straordinario progetto nelle interviste che trovate qui in formato PDF.
La diagnosi sul colon del sangue / Rassegna stampa

 

GASDOTTO POTENZIATO AMATI: TAP SI CONVINCA SULLE COMPENSAZIONI

«Resisteremo con forza e determinazione, dinanzi all’Autorità giudiziaria, per ottenere il rigetto del ricorso di Tap contro il diritto dei pugliesi a ottenere le compensazioni territoriali derivanti dal potenziamento del gasdotto e da usare per detrazioni nelle bollette del gas».

L’assessore regionale al Bilancio Fabiano Amati non è intenzionato a fare un solo passo indietro in merito. D’altronde la battaglia vinta ad ottobre scorso con il collega Alessandro Delli Noci è anche sua e indietro non si torna.

Assessore, la Puglia è stata la prima regione a legiferare in attuazione della Legge Marzano.

“Assolutamente sì. Dopo un lungo iter giudiziario che ha comportato, in accordo col Ministero all’Ambiente e alla sicurezza energetica, alcune modifiche all’impianto normativo, con la decisione della Corte Costituzionale, è stato scritto l’ultimo capitolo che esclude soltanto l’applicazione retroattiva dell’articolo due della Legge approvando tutto il resto. Per salvaguardare gli interessi delle comunità locali, l’impianto normativo prevede che le misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale vengano richieste ma solo per i nuovi impianti e per il potenziamento degli esistenti”.

Quindi, partita chiusa. O almeno così sembrava. Invece?

“Succede che la società Tap ha fatto ricorso. Siamo alquanto stupiti considerata la recente pronuncia della Corte costituzionale sulla nostra legge che prevede appunto questa misura compensativa. A ciò si aggiunga ulteriore stupore dato dal fatto che la Regione Puglia intende favorire gli insediamenti energetici, in particolare quelli indirizzati alla sicurezza ambientale, in quanto funzionali a realizzare l’indipendenza energetica dell’Italia e anche del continente europeo. Quindi è davvero incomprensibile la decisione del Tap. Anche perché ricordiamo un’altra versione istituzionale della società, a questo punto probabilmente dettata da tattica e non da buona fede”.

Cosa intende?

“In passato la società si è impegnata a convincere i territori interessati dell’utilità dell’infrastruttura, anche con riferimento a ricche promesse di compensazioni.

La misura di compensazione per ogni impianto o infrastruttura energetica è disposta proporzionalmente fino al tre per cento del valore commerciale del volume del gas prodotto e trasportato. Non aggiungo altro…”.

Un tre per cento che fa la differenza nelle bollette dei pugliesi…

«Certo. La legge pugliese sul gas riguarda le tasche dei cittadini ed è la prima volta in Italia che una regione la applica. È stata una battaglia difficile ma necessaria per amore dei pugliesi, soprattutto dei meno abbienti. Parliamo di bollette alleggerite, non di poco. Non solo. Questa legge ha anche un’importanza sotto un altro aspetto…».

  1. Cosa intende?

“La materia delle compensazioni risolve un problema concreto del presente, recuperando errori clamorosi del passato e ponendo le basi per non ripeterli in futuro. E tutto questo sotto l’egida di una norma statale che l’autorizza, perché se così non fosse non si capirebbe a cosa serve l’articolo uno, comma quattro, della legge Marzano. Per ogni legge bisogna sempre scegliere un’interpretazione in grado di darne un senso concreto.

La storia ci ha insegnato che la nostra bella regione può avere un peso in campo energetico: dobbiamo, quindi, puntare a crescere in questo senso per la realizzazione di tutti gli investimenti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, compreso l’eolico offshore, e di tutti gli impianti per il recupero di energia. Questa sarebbe una bella battaglia da fare assieme, altro che polemiche su una legge in grado di mettere un po’ più di pane nelle case delle persone, risparmiando sulla bolletta del gas”.

REGIONE, DUE SEDUTE AL MESE CON STIPENDI RECORD IN ITALIA

Amati è il più prolifico, De Palma fermo a zero. La top della produttività in Consiglio regionale.

 

Del passaggio di Vito De Palma in Consiglio regionale non è rimasta quasi traccia: nessun progetto di legge concluso è stato presentato né mai sottoscritto da lui. Certo, il politico tarantino è rimasto in carica soltanto due anni, da settembre 2020 a settembre 2022, quando è stato eletto alla Camera per Forza Italia. Ma è una giustificazione che vale fino a un certo punto: il suo è stato lo stesso percorso di Ignazio Zullo, di Fratelli d’Italia, che però in quell’arco di tempo è riuscito a firmarne sei di pdl, di cui tre proposti da lui. A pochi mesi dalle elezioni regionali si può tracciare un bilancio di chi, almeno come impegno, si è guadagnato l’indennità nell’undicesima consiliatura, che si avvia a conclusione.

Chi produce e chi non va

Nella classifica della produttività degli eletti nel parlamentino pugliese di via Gentile, al primo posto svetta Fabiano Amati, consigliere di Azione sulla via del ritorno nel Pd: recano la sua firma 33 progetti di legge, di cui 29 sono farina del suo sacco. Secondo, anche se con distacco,Antonio Tutolo, ex sindaco di Lucera, del gruppo misto, che ha messo il suo nome e cognome su 22 progetti di legge, risultando tra i primi firmatari in dieci casi. Amati e Tutolo sono tra i più assidui frequentatori dell’aula consiliare. Il record delle assenze ingiustificate nei Consigli regionali – tra il 2021 e giugno 2024 lo detiene invece il leghista Joseph Splendido: per nove volte non si è presentato senza dare adeguate giustificazioni, seguito da Paride Mazzotta (8) e Pierluigi Lopalco (7). Міchele Emiliano quattro volte. A loro il compenso sarà decurtato, però, e a chi presenta il certificato no.

Se 8mila vi sembran pochi

Ed è un peccato, perché è un bello stipendio: 7mila euro lordi, che arrivano a 8mila 200 con le indennità di funzione (per esempio se si è presidente di commissione) e superare i 12mila per gli assessori, il vicepresidente e il governatore (che ne guadagna 13mila 800). Sono tra le retribuzioni più elevate in Italia: più del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, della Campania e della Sicilia, dove i compensi oscillano tra i 5mila e i 6mila 600 euro. Ma alle indennità bisogna aggiungere i rimborsi, che in Puglia ammontano a 4mila 100 euro. Di poco inferiori a quelle della Lombardia (4mila 218), superiori ai rimborsi nel Lazio (3mila 500). In totale, fra rimborsi e compensi, un consigliere pugliese non percepisce meno di 8mila euro netti.

Il caso Cera

Cifre importanti alle quali non si è aggiunto grazie alla pressione di un movimento di protesta guidato soprattutto da Cgil e Confindustria – il trattamento di fine mandato, nonostante tutti i blitz tentati a più riprese dai consiglieri. Fra i più accaniti c’era Filippo Caracciolo, del Pd, che risulterebbe sulla carta tra i più prolifici in termini di progetti di legge: ne ha presentati 33. Ma soltanto per quattro è il primo firmatario. Uno in meno di Francesco Paolicelli, del Pd, che risulta tra i cofirmatari di 18 progetti. La presidente, la dem Loredana Capone, invece, ne ha presentati otto, di cui in quattro compare come proponente. In fondo a questa graduatoria figura il forzista dissidente Napoleone Cera: ne ha firmati tre, non ne ha proposto neanche uno. È vero che è subentrato a novembre nel 2022, ma nella scorsa legislatura, tra il 2015 e il 2020, deteneva il record di assenze ingiustificate, ben 15 su 155. Segue l’attuale deputato azzurro Gian Diego Gatta (una firma, zero proposte), il suo collega di partito leccese Paride Mazzotta. Antonia Spina, di Fratelli d’Italia, che ha zero su entrambe le voci, è giustificata perché è subentrata solo a luglio a Francesco Ventola, il capogruppo eletto al Parlamento europeo, che ha prodotto 16 leggi, ma in 14 casi si è accodato ad altri.

Zero progetti

Non hanno proposto ancora alcuna legge che sia riuscita a terminare il suo iter nemmeno consiglieri i leghisti Fabio Romito, Gianfranco De Blasi, Giacomo Conserva e Joseph Splendido, Mauro Vizzino (Per la Pu- glia, centrosinistra), Massimiliano Stellato (Italia Viva), Michele Mazzarano (Pd), Alessandro Leoci (Con), Grazia Di Bari (Movimento 5 Stelle), Sergio Clemente (Azione) e Debora Ciliento, ad aprile nominata assessora ai Trasporti in quota Pd.

Le moto di Emiliano

Emiliano risulta firmatario, insieme con altri, soltanto di un progetto di legge in Consiglio (a parte quelli di giunta, naturalmente): sul “riconoscimento, la valorizzazione e la pro- mozione del mototurismo”. Il consigliere Giuseppe Tupputi ne ha proposti tre: uno sulla Disfida di Barletta, un altro per l’Istituzione di una “Fondazione per la formazione politica e istituzionale” e infine un terzo per la promozione del riconoscimento della lingua dei segni.

I progetti futuri

Chi non ha ancora portato a casa neanche un progetto di legge concluso ha ancora qualche mese di tempo. Amati ne ha nel caricatore dieci, Davide Bellomo prima di andarsene a fare il parlamentare della Lega ne ha lasciati 18. Il suo collega di partito Fabio Romito ne ha due. Giacomo Conserva, che ne ha chiuso soltanto uno, se n’è tenuti nove per gli ultimi giorni. Renato Perrini, di Fratelli d’Italia, ne ha ben nove.

Chi l’ha visto?

Oltre a scrivere leggi e a partecipare, con una media di due volte al mese, alle sedute del Consiglio regionale, i consiglieri pugliesi devono anche partecipare alle commissioni. Mauro Vizzino ci è andato soltanto sei volte, Paolo Pagliaro (Puglia Do- mani) tre, De Blasi appena due. Sommate alle sette sedute assembleari alle quali ha partecipato – in due casi è stato assente, una volta senza giustifica – sarebbero nove giorni in sei mesi. Senza neanche un progetto proposto, né da esaminare, né in itinere, né concluso. Chi non ci metterebbe la firma, per portare a casa ottomila euro al mese?

 

Articolo di Davide Carlucci, La Repubblica Bari 05/10/2024

Sangue cordonale, boom di donazioni

Donazione di sangue cordonale, la Puglia tra le regioni più generose. Nel 2023, infatti, sempre più neo genitori scelgono di donare il sangue cordonale, quello che rimane nel cordone ombelicale e nella placenta dopo la recisione del cordone ombelicale alla nascita. Questo sangue normalmente viene scartato ma, assieme al midollo osseo e al sangue periferico, è una fonte alternativa di cellule staminali emopoietiche, fondamentali per la produzione dei cosiddetti elementi cellulari del sangue.
In Italia, lo scorso anno, grazie alla rete nazionale delle banche per la conservazione del sangue da cordone ombelicale (composta da 18 Banche del sangue ubicate presso ospedali pubblici o privati convenzionati con il sistema sanitario nazionale, distribuite in 13 regioni italiane) sono state 6.936 le unità raccolte, dato in crescita del 6,3% rispetto a quello dell’anno precedente. Anche in termini percentuali si registra un progresso. Le donazioni hanno interessato il 2,8% dei parti avvenuti negli ospedali italiani adibiti alla raccolta; nel 2021 la percentuale si era fermata al 2,5. È confermata la crescita tendenziale rispetto al 2020, anno in cui, a causa della prima ondata della pandemia di Covid, si era registrato un record negativo.
In Puglia quest’anno, nel primo semestre, sono state raccolte già 330 unità, più di quelle messe insieme in tutto il 2022 (320) e nel 2021 (329). Certo, dal confronto con il 2009 (quando furono 2.451 le unità raccolte), si evince una drastica riduzione ma per quest’anno si punta a realizzare il record di donazioni.
La Banca regionale del cordone ombelicale di riferimento per la Regione Puglia ha sede presso il Servizio di Medicina Trasfusionale dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo in provincia di Foggia. A dirigerla è il dott. Michele Santodirocco che coordina uno sparuto gruppo di collaboratori abilitati a raccogliere, analizzare e bancare tutte le unità di sangue provenienti dai 14 ospedali pugliesi abilitati. «Il sangue cordonale ricorda Michele Santodirocco, – direttore medico della Banca cordonale pugliese – è una risorsa preziosa che con il progredire delle ricerche sta trovando un numero sempre maggiore di applicazioni cliniche. Eppure sono ancora troppo poche le giovani coppie che decidono di compiere questo gesto di grande valore solidaristico».
<<L’importanza della donazione del sangue cordonale – aggiunge – consiste nella cura di gravissime malattie, attraverso il sangue cordonale con alto criterio di qualità (cellularità superiore a un miliardo e 200mila cellule) e nelle destinazioni alternative del cordone con bassa cellularità, ossia ulcere e in particolare quelle del piede diabetico, ulcere corneali, deiscenze sternali ed emazie cordonali. Dal 2008 al 2021, la Banca cordonale ha ceduto 23 unità di sangue cordonale e per 10 pazienti si è registrata la remissione completa». In nove anni di attività sono già una quindicina le unità di sangue cordonale cedute dalla Puglia agli ospedali di tutto il mondo. Ad oggi, dal 2008, sono circa 19mila le unità raccolte. È importante, dunque, intensificare la donazione e la raccolta di sangue cordonale: non a caso proprio in Puglia è stato approvato un emendamento proposto dai consiglieri regionali di «Azione», Fabiano Amati, Ruggiero Mennea e Sergio Clemente in base al quale tutti i ginecologici delle strutture pubbliche devono proporre alle donne partorienti la donazione del sangue cordonale. «Nelle nostre Banche di cordone conclude Michele Santodirocco tutte le unità che non risultano idonee per un trapianto vengono comunque indirizzate ad usi diversi. Possono essere impiegate per la produzione di gel piastrinico da cordone ombelicale, che trova indicazione nel trattamento delle ferite, come per esempio dell’ulcera del piede diabetico, ma anche per la produzione di collirio per la cura di alcune patologie oculari. Di fatto una banca del cordone difficilmente elimina unità dall’uso clinico».
Per informazioni sulla donazione è possibile consultare anche il sito di «Adisco».

La storia di Melissa e i bimbi con la Sma

Come è nato l’iter. Puglia come USA e GB.

Presidente Amati, lei è stato il primo firmatario della proposta di legge sul genoma, approvata martedì scorso in Consiglio regionale, dopo una lunga battaglia e con tanto impegno. Adesso cosa succede?

«Adesso cominciamo con tremila bambini, ma il nostro obiettivo è renderlo obbligatorio per tutti i neonati, salvo rinuncia. Lo scopo di questo test è stabilire, con il prelievo di un’unica goccia di sangue, se per caso ci sia un’esposizione al rischio percirca 200 malattie».

Perché questo numero?

«Perché quelle sono le malattie per le quali si possiede una terapia, per curare o per allungare la storia naturale della malattia»

Cosa comporta saperlo in anticipo?

«Vuol dire salvare la vita o allungare la storia naturale della malattia. Questo è lo scopo di questo progetto di ricerca. Allo stato, mi risulta che stiano compiendo progetti di ricerca di questo genere soltanto a New York e in Gran Bretagna»,

Questo vuol dire che, adesso che è stata approvata la legge, in Puglia saremmo i terzi in tutto il mondo?

«Da quello che mi risulta sì, ma potrebbe anche essere che vi sia qualche altro Paese».

Materialmente da quando sarà possibile per le famiglie pugliesi accedere alla
sperimentazione?

«Appena entrerà in vigore la legge, il direttore del laboratorio di Genomica dell’ospedale Di Venere di Bari, che è il laboratorio incaricato di questo progetto, dovrà predisporre un protocollo
operativo, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore, poi si coqmincerà».

Quale sarà la durata del progetto?

«Un anno, però lo vogliamo estendere nei prossimi anni, anche dando maggiori dotazioni finanziarie. Questo è l’intendimento del Consiglio regionale».

Qual è il costo di questo primo anno di sperimentazione?

«Abbiamo stanziato un milione di euro».

L’approvazione della legge sul genoma è avvenuta lo scorso 14 marzo, nel corso di una seduta del Consiglio regionale particolarmente turbolenta dal punto di vista politico. Una seduta a tratti anche molto dura e difficile. Ritiene che essere riusciti a trovare l’intesa per dare il via libera a questo provvedimento abbia dato una sorta di valore aggiunto a quella giornata?

«Sì, perché, se non avessimo approvato quella legge, le cronache avrebbero detto di quella seduta del Consiglio regionale che avevamo discusso di un provvedimento per aumentare le poltrone dell’ufficio di Difesa civica che, secondo me, non serve a molto. Poi avrebbero detto che ci eravamo occupati della questione del segretario d’aula, il cui significato all’interno della lotta politica è noto solo al governatore Michele Emiliano, i comuni cittadini sanno che è una funzione di garanzia del Consiglio e
basta. Se non avessimo approvato quella legge, la cronaca di quella seduta sarebbe stata solo questa».


Umanamente, dopo l’approvazione, qual è il suo stato d’animo?

«La vita, per me, a proposito di queste cose è cambiata quando ho incontrato la storia di Melissa e dei bimbi malati di sma.
In quel momento sono entrato in un mondo nuovo, la geneticamedica. Ho iniziato un percorso con il dottor Gentile e con le sue competenze, siamo riusciti a mettere su lo screening obbligatorio per la sma, poi lo screening super esteso per 58 malattie, poi il sequenziamento
dell’esoma. Sono tutte iniziative legislative approvate all’unanimità dal Consiglio regionale.
Adesso si è in grado, dall’1% del dna, di individuare l’85% delle
malattie e quindi dare una diagnosi a quei casi in cui non si sa cosa fare. Vedere che, fino all’an-
no scorso, un bambino affetto da sma 1, a sei mesi, già non era più‘un bambino, non muoveva il capo, le braccia, le gambe e invece ora vedere i primi tre bimbi, sui quali è stata fatta una diagnosi
tempestiva, che non hanno alcun sintomo della malattia, ha un grande significato per me».

Quale?

«Se la mia vita politica dovesse finire qui, avrei già fatto tantissime cose. Aver concorso a salvare la vita di bambini, in una intera vita politica, basta ed è meraviglioso»

Dottor Mattia Gentile, direttore del laboratorio di Genetica medica dell’ospedale «Di Venere» di Bari, dopo l’approvazione della legge sul genoma in Consiglio regionale, quale messaggio vuole dare ai futuri genitori dei bambini pugliesi?


«Dopo l’approvazione della legge, è importante passare alla stesura di un protocollo d’intesa in
cui coinvolgere le Neonatologie, perché questo è un progetto di ricerca; l’analisi non viene fatta automaticamente, ma c’è un consenso e un’informativa che le famiglie devono necessariamente
condividere come per qualsiasi progetto di ricerca».

Qual è l’obiettivo di questo progetto?

«Metterci nelle condizioni tecniche di poter poi fare il passo successivo come sta succedendo in Inghilterra e negli Usa, perché lì, tra ottobre e dicembre, sono partiti due grossi programmi sui 200mila e 400mila neonati»,

Quali sono i punti principali di questa sperimentazione?

«Le cose da sottolineare sono diverse: in primis si tratta di un progetto di ricerca e, quindi, come detto, le famiglie devono essere direttamente coinvolte. È diverso dallo screening tradizionale dove c’è la strategia “l’optout”, ovvero deve essere la coppia a specificare che non vuole farlo. Qui, invece, c’è “l’optin” cioé bisogna specificare se si voglia farlo. La sperimentazione può consentire lo screening simultaneo di centinaia di malattie ed è importante per quelle per le quali è necessario un inquadramento diagnostico precoce; il nostro obiettivo è che, con uno screening alla nascita, si possano individuare queste malattie in tempi precocissimi. Il numero delle malattie è provvisorio, perché, nel momento in cui altre malattie sono ritenute meritevoli di attenzione precoce, saranno automaticamente incluse. Nel giro di tempi, che oggi non possiamo prevedere ma che saranno brevi, noi avremo parametri di affidabilità e di costi per cui lo screening metabolico che si fa
adesso non si farà praticamente più. Si farà uno screening genetico che con una sola indagine.”

Intervista a Fabiano Amati – Amati attacca Lacarra «A lui il seggio sicuro, Torsi penalizzata» – «Torsi in parlamento? Giusto candidarla, ma al posto di Lacarra»

Gustissimo candidare Luisa Torsi, infatti l’avrei vista bene al posto di Lacarra». Il consigliere regionale del Pd Fabiano amati non le manda a dire e punta il dito contro il segretario regionale Marco Lacarra, definito «un servo volontario». «Lacarra – continua Amati – è un esecutore di ordini altrui che si arrampica sugli specchi».

Il pd Fabiano amati ha definito «invotabili» le liste del Pd e le considera causa della sconfitta. 

 

II segretario Lacarra sostiene che il suo malumore dipende dal fatto di essere stato escluso dalla candidatura nel collegio di Bari. 

«E vero. Ci siamo adirati in tanti, non solo io. Non abbiamo mai capito perché ai raccomandati come Lacarra sia stato assicurato il posto nelle liste bloccate e ad altri si voleva riservare solo collegi uninominali perdenti. So capire quando si tratta di una presa in giro. Lacarra eviti di misurare l’intelligenza altrui con la propria». 

 

Non era giusto candidare a Bari la professoressa Torsi? 

«Giustissimo. Infatti l’avrei vista bene al posto di Lacarra, anche perché culturalmente molto più dotata di lui. E soprattutto perché il posto di Lacarra era sicuro per andare in parlamento. Dunque se è vero che il segretario e i suoi amici tenevano agli scienziati sarebbe stato utile candidare la Torsi al suo posto». 

 

Con Torsi, è stato detto, si voleva far spazio alla società civile. 

«Come no? Evocano la società civile, la cultura, gli scienziati: ma solo per coprire la loro bulimia di sedie. Sa quali sono i posti che volevano dare alla società civile e anche a noi? Quelli perdenti. Si tratta solo di una messa in scena, una perdente messa in scena. Lacarra dimostra così la sua insufficienza, ma non è colpa sua». 

 

Di chi sarebbe?

«Lacarra è, diciamo così, un servo volontario. Parlo poco di lui perché il mio dibattito è con il suo “dante causa”, ossia Emiliano. Lacarra è un esecutore di ordini altrui che si aggrappa sugli specchi con giustificazioni assurde. Lo abbiamo sentito accusare la base dell’insuccesso del Pd. Secondo lui i militanti della base non riescono a conquistare i voti delle loro famiglie. La base… quelli che fanno trovare i tavoli e le sedie nei circoli. La verità è che la base non ha il coraggio di andare in famiglia a chiedere voti per tipi come Lacarra». 

 

Il segretario aveva chiarito Parliamo del Pd Decaro lo vorrebbe smantellare. Lei? 

«Osservo in questo momento una corsa a dare addosso al Pd nazionale. La colpa di tutto è di Letta. E in Puglia, secondo loro, va tutto bene. Non si interrogano se qui ci sia stato qualche problema che abbia concorso al pessimo risultato nazionale. Come strumento di distrazione di massa, poi indicano i problemi nazionali (che non mancano) e lanciano Decaro alla segreteria nazionale». 

 

Non va bene?

 «Non vedo la genuinità dell’operazione: non so quanto siano sinceri. Per di più leggono di Decaro solo gli a momenti che a loro fanno comodo e non anche le critiche che il sindaco rivolge al sistema di potere di Emiliano. Certo, Antonio lo fa con il suo temperamento, ma lo fa. Ed è la ragione che giustifica tutto il mio sostegno a Decaro. Un sostegno, si badi, che è alternativo al loro abbraccio mortale». 

 

Sta dicendo che abbracciano Decaro per affossarlo? 

«È il morto che vuole afferrare il vivo, il vecchio che mangia il nuovo. II sistema di potere pugliese che vuole acciuffare Decaro e tante altre persone che rappresentano ancora una speranza». 

 

La speranza sarebbe un nuovo Pd. Lei come lo vorrebbe?

 «C’è bisogno di un “gazebo”, una chiamata collettiva, per stabilire una scissione. È così: per riportare il Pd ad una dimensione di partito popolare di massa non bisogna rincorrere l’unità, occorre eleggere un segretario e votare un programma che serve a scindersi». 

 

Chi si deve scindere? 

«Si deve separare il riformismo realista, decisionista, dell’Europa, della Nato, dalla sinistra “alta società”. Quella parte  che si occupa in modo infantile e minoritario di verde (ma non di ambiente), di paesologia, di diritti e di vernissage. Non ho nulla contro le persone della sinistra “alta società”. Ma la politica è fatta di soluzioni prese con decisione. A che serve mettere assieme cose diverse se poi perdi? Ecco perché occorre un gazebo liberatorio per dividersi». 

 

Sembra la discussione sulle due forze che tirano ll Pd: da destra Calenda e da sinistra i 5Stelle. Lei è più sensibile a Calenda? 

«Se proprio dobbiamo dare un nome alle mie passioni, darei quello del riformismo di Sturzo, di De Gasperi, di Francesco De Sanctis oppure di Ignazio Silone, emblema del realismo di sinistra. Altro che Calenda, scusi. Le cito piuttosto una frase di De Sanctis che mi è molto cara: “Mi interessano le lacrime delle cose e non le vostre lacrime”. Ecco di che cosa si deve occupare un partito popolare di massa: delle persone».