In fondo lo sappiamo tutti. E chi non lo dice mente, oppure non si è fermato a pensare. Il processo è un sacrilegio, scrive l’avvocato del “Terrore” Jacques Vergès. Necessario ma sacrilego. Si tratta del diritto inaudito che certi uomini si arrogano di giudicarne altri. E figurarsi che spietatezza farlo senza dargli neppure un tempo massimo. Finirà che i processi – come ha detto il PG di Roma De Siervo – termineranno con la morte del reo. Una tortura per gli imputati e un nulla di fatto per le vittime. Altro che a vantaggio di potenti e corrotti. Ma questo rischio si fa fatica a capirlo, perché le idee matte si fanno da sempre strada aggrappandosi alle suggestioni, alle paure, alle convenienze e alle parole d’ordine della propaganda.
SPECULAZIONE POLITICA – Un’opinione pubblica bombardata da un’incivile speculazione politica, da qualche brutta pagina di giornalismo, da alcuni pubblici ministeri interessati a guadagnare consenso piuttosto che la fiducia nell’ufficio e da parecchi silenzi e timidezze politiche, si sta facendo convincere che la prescrizione sia l’unico ostacolo che si frapponga tra la giustizia, le vittime del reato e il risarcimento del danno. In poche parole, prescrizione uguale impunità. E invece è proprio il contrario. Togliere la prescrizione senza fare nulla per rendere ragionevoli i tempi del processo farà allargare il carico di lavoro e il processo “morirà” nell’oblio. E con esso le aspettative delle vittime. La norma sulla prescrizione non è un cavillo offerto all’avvocato scaltro e capace, o all’imputato ricco e potente. E una norma che obbliga lo Stato a mantenere i piedi per terra e ad assicurare certezze.
Certezza del diritto non significa espandere o sospendere senza limiti il tempo del processo, come se il giudizio penale servisse per offrire, a furia di girarci attorno, illusorie verità alla storia. Certezza del diritto significa che a un certo punto, cioè in tempi ragionevoli, la questione deve essere definita senza che se ne parli più, perché né all’imputato né alla sua vittima si può infliggere la sospensione della vita mentre passano gli anni dell’esistenza. La prescrizione è una regola d’ordine che lo Stato dà a se stesso; un impegno a non violare con processi senza fine l’esigenza di dare sicurezza alla vita personale, economica e sociale delle persone. E l’affermarsi del diritto penale della libertà su quello dell’oppressione e del privilegio. E se altri paesi non hanno nel loro ordinamento la prescrizione come da noi è perché l’Italia, almeno su questo, è un modello di civiltà a cui sono gli altri a guardare e non l’ennesimo esempio di arretratezza da cui sollevarsi. Certo, è difficile capirsi su questi argomenti. Viviamo tempi in cui si pretende di deferire ogni questione al penale e al criminale, per esporre le persone al torbido clima del sospetto e del disprezzo sbattuto in prima pagina. Attraversiamo un’epoca dove in ogni momento si richiede l’intervento del pubblico ministero e non del giudice, perché ciò che conta è l’indagine con le sue vaste possibilità di spettacolarizzazione e non la virtù paziente dell’accertamento.
Si assiste con sgomento alla penalizzazione di ogni comportamento umano; siamo passati dal diritto penale frammentario (e di frammenti sempre più piccoli e puntuali) alla nomorrea penale, con conseguenze alla lunga abbastanza logiche. L’apoteosi dell’impunità o l’imprevedibilità del rischio penale, quindi la stagnazione economica e sociale. Un diritto penale, insomma, posto a svolgere la funzione di rinforzo al moralismo, come misura inversamente proporzionale alla morale, rimettendo assieme due sfere che, con duro lavoro, la civiltà giuridica aveva distinto: il reato e il peccato, la spada e il pastorale.
PELLEGRINI – Purtroppo, il Parlamento sembra accondiscendere a questo diritto penale neo-coloniale, più o meno come quello dei padri pellegrini che si preoccupavano di punire la fornicazione piuttosto che la rapina. E lo consente per difetto di mira. Non più leggi puntate sul maggior ordine che si ottiene con depenalizzazioni su tutte le condotte minori, cioè la maggior parte, così da ridurre il carico nei tribunali, ma fabbricando reati per assecondare il palinsesto social più adeguato ai più facili ed effimeri sentimenti di bestiale ferocia. Eppure si dovrebbe sapere che la bestia dopo il pasto ha più fame di prima. Infine, eliminare la prescrizione equivale a sancire, con una resa disonorevole, il trionfo della funzione retributiva della pena, caldeggiata ormai in ogni ambito del dibattito pubblico. Occhio per occhio e dente per dente è il materiale di propaganda più adatto per dare alla paura una funzione politica, a prescindere dall’esistenza o meno della minaccia adombrata. Non ci vogliono particolari studi di bio-politica per comprendere come l’uso disinvolto delle leggi penali “giochi”, senza scienza e coscienza, per la tumulazione di fatto del principio di rieducazione attraverso la sanzione. E mentre tutto questo è sotto gli occhi di tutti, una maggioranza di governo si ritrova a dover escogitare mediazioni metafisiche, incentrate sulla sospensione del tempo, che già per capirle ci sarebbe bisogno di un diagramma a blocchi. Ma pure questa sarà probabilmente una predica inutile. In fondo, se non sei l’imputato o la vittima, oppure se la faccia severa dello Stato non ti serve per punire con celerità reati gravi ma per eccitare istinti o frustrazioni umane così da prendere voti, mantenere in piedi governi, vendere giornali o fare carriera, a che serve interrogarsi sul sacrilego processo o sulla nostra vita dolorosa? Per quello basta Diodato. Ah, che vita meravigliosa.